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Una notte di Natale

 

Viveva nella valle delle nebbie perenni, Bellocchia, Ernesto Tirabasso, fondatore e socio assieme a Nicola Prediletto, della ditta commerciale internazionale (Import-Esport) più famosa della zona. Una mattina uggiosa come le altre trovò morto stecchito il signor Nicola. Un fastidio per il signor Ernesto e nulla più, tanto che riuscì a trovare il tempo per concludere un robusto contratto.

Non cambiò mai la targa sulla porta d'ingresso della ditta. La “Tirabasso & Prediletto”

Ernesto aveva sempre condotto l'azienda con pugno di ferro e sapeva come spremere, torcere, afferrare, grattare, ammassare, strappare da quel vecchio avido peccatore che era.

Nessuno lo cercava, nessuno lo chiamava, nessuno gli chiedeva l'elemosina, financo i cani ammaestrati che accompagnavano i ciechi non gli chiedevano strada, anzi cercavano qualche portone affinché il loro padrone non s'incontrasse con lui.

Ma a lui non importava.

Buon Natale disse una voce dietro le spalle. Si voltò per vedere di che era quella voce, buon Natale ripete suo nipote Nitto mentre veniva ad abbracciarlo, Dio sia con te.

Bah! rispose Ernesto – Sciocchezze!

Sciocchezze Natale, zio?

Certo, Che diritto hai tu di essere felice? Che diritto hai di essere lieto? Non sei abbastanza povero? Natale! Sciocchezze!

Oh zio, che motivo hai tu per essere scontento, non sei abbastanza ricco?

Bah! Ringhiò nuovamente lo zio – Sciocchezze!

Entrarono in ufficio ed Ernesto si sedette al suo solito posto dove poteva controllare l'unico impiegato che aveva, al quale non era concesso di accendere alcun focherello per riscaldarsi dal freddo per non consumare la legna necessaria allo scopo. La legna costava!

Il nipote riprese la discussione iniziata per strada e pregò lo zio di passare il giorno di Natale assieme alla sua famiglia, lo zio continuò ad esaminare il bilancio dell'anno che stava per finire, valutare le nuove proposte commerciali ma il nipote torno alla carica per strappargli un si dalla bocca. Allora zio ti aspettiamo, saremo tutti uniti, pranzeremo e saremo felici insieme.

Oh! Smettila di importunarmi, tu festeggia il tuo Natale come ti pare, con chi ti pare, ma lasciami in pace , ho dei grossi problemi io, devo controllare tutte le partite dell'anno e non voglio trovare conti in disordine. Ogni idiota che va in giro con il “Lieto Natale” io lo lascerei cuocere assieme al pranzo, si va in giro senza fare niente invece di occuparsi degli affari.

Che stupidità!

Il nipote salutò senza rancore con un “Buon Natale “ e voltandosi fece gli auguri anche all'impiegato “Tanti, tanti auguri di Buon Natale”. Bartolomeo Caracciolo, così si chiamava l'impiegato, ringraziò e ricambiò gli auguri con quel fil di voce che si ritrovava per il gran freddo che faceva.

Ma guarda questo, pensò Ernesto, il mio impiegato con lo stipendio miserrimo che gli passo, con a carico una moglie e cinque figli parla di “Lieto Natale”! Cosa da pazzi!

Mentre il suo pensiero era dedicato al lavorante, bussarono alla porta, era un uomo elegante e dai modi raffinati, parlo con il signor Prediletto o con il signor Tirabasso? No, rispose, Ernesto Prediletto, il mio socio ha deciso di passare il Natale in compagnia ed ora mi trovo solo.

Oh, è andato a passare le feste con i suoi? Eh si, il Natale raccoglie le famiglie nell'amore e nella serenità.

No, no, Nicola ha sempre trascorso il Natale in quest'ufficio, e cosi sarebbe stato ancora se, qualche anno fa non fosse andato a fare compagnia da morto a quegl'altri che lo hanno preceduto al camposanto. Desidera qualcosa!

Il signore si presentò menzionando una istituzione e porse le sue credenziali spiegando che stava raccogliendo, assieme ad altri, fondi per i poveri del paese. Sono sicuro che sarete generoso con questi sfortunati che vivono nella miseria. Per quale cifra posso iscrivervi.

Per niente, rispose Ernesto.

Desiderate rimanere anonimo?

Desidero essere lasciato in pace!

Ogni occasione è buona per chiedere denaro da dare a dei veri fannulloni, io non festeggio il Natale, e dovrei farlo festeggiare a loro? Mai! Adesso mi lasci che non posso perdere il mio tempo. Cosi congedò quel distinto signore.

Era arrivata l'ora di chiudere l'ufficio e Bartolomeo stava per chiedere se l'indomani, giorno di Natale, poteva restare a casa. Il signor Ernesto capì e tuonò! Che diresti se io alla fine del mese ti toglierei un giorno di paga?

Non mi sembra giusto, domani è Natale e capita una volta all'anno.

Natale, ogni 25 dicembre, mi sembra di essere derubato, poi guardando gli occhi compassionevoli del suo lavorante, disse: va bene per domani, ma dopodomani voglio trovarti qui all'alba.

Cenò nella solita misera bettola e si avvio per la via di casa.

Il sonno di quella notte fu agitatissimo.

Il vecchio compagno e socio in affari quella notte gli fece visita preceduto da un fortissimo lucubro rumore di catene che trascinava per terra, Ernesto resto fermo con gli occhi spalancati all'inverosimile e il viso bianco come la carta.

Quelle catene cingevano i fianchi, si attorcigliavano per le braccia e lo avviluppavano fino ai piedi, il resto se le doveva trascinare.

Perché ti trascini quelle catene disse Ernesto, perché vuoi mettermi paura.

Queste catene, rispose l'amico, me li sono costruite io giorno per giorno con le mie mani, anello per anello e saldate metro per metro. Sono il risultato degli errori della mia vita e la dannazione che vivo me la sono procurata con i miei peccati.

Ho avuto un permesso speciale per venire da te, io sono l'unico amico che hai nella tua vita e sono venuto ad avvisarti che il tuo futuro non è bello, anzi!

E cominciò ad ammonirlo per la vita che si stava preparando per quando rendeva l'anima a Dio. Non voglio che tu debba sperimentare la vita dei dannati che è toccata a me – gli diceva Nicola – nella vita terrena i miei soli pensieri sono stati gli affari e il denaro che esso mi procurava, non mi hanno mai sfiorato le parole come clemenza, pazienza, benevolenza e carità, ho sempre tenuto gli occhi bassi anche in giorni come questo, non ho mai alzato lo sguardo come i re magi e farmi accompagnare dalla luce del cielo. Mi è stata data questa licenza per darti una possibilità e una speranza, che io ti ho procurato perché tu possa costruirti un diverso avvenire.

Sei sempre stato un buon amico per me, disse Ernesto, ti ringrazio. Come e cosa devo fare, io non conosco altro modo di vivere che questo. La mia vita ha senso solo se la vivo come la concepisco e non la concepisco in altra maniera se non così come l'ho vissuta fino adesso.

Sarai visitato da tre spiriti diversi, ogni spirito ha tempo un'ora a sua disposizione. Il primo verrà a mezzanotte, il secondo all'una e il terzo alle due, questo è per te il mio regalo di Natale.

Senti, disse Ernesto, non puoi spiegarmi tutto tu? Perché debbo aspettarmi la visita di questi spiriti che io non conosco e che solo a pensarci provo una spavento indicibile.

Senza la loro visita non avresti nessuna speranza di evitarti il calvario che io sto vivendo, rispose Nicola e camminando all'indietro oltrepassò la porta e sparì.

Quelle visite annunciate misero in fibrillazione Ernesto, non riusciva a stare fermo, guardava sempre il suo orologio e gli sembrava che non funzionasse più, gli sembrava che si fosse fermato, allora per sicurezza si mise ad ascoltare i rintocchi dell'orologio della chiesa. Com'era difficile aspettare. L'ultimo quarto d'ora alla mezzanotte non voleva proprio finire mai, poi d'improvviso, mezzanotte! Cominciò a scrutare davanti a se e poi in ogni parte della stanza per vedere se quello spirito annunziato fosse arrivato. Niente, non vedeva alcuno che si aggirasse per la stanza, ormai era passato un quarto d'ora e non vedeva nessuno, pensò che la visita di Nicola fosse stato uno scherzo della sua mente e stava per andare a letto. Una mano! Si sentì afferrare una spalla da una mano, si girò di colpo e si trovò di fronte una creatura che non occupava spazio, impalpabile, la visuale intera della stanza non era impedita da quella figura.

Deglutì più volte per lo spavento, poi prese coraggio e balbettò – Sei tu lo spirito che aspetto? – Si fu la risposta. La voce che sentì era dolce e piacevole e dopo aver ancora deglutito più volte domando – Chi sei – Sono il fantasma dei Natali passati.

Di tutti i Natali?

No, solo degli ultimi.

Perché sei venuto, qual è lo scopo della tua visita.

Sono venuto per il tuo benessere

Ernesto prese a ridere dentro di se, mio benessere, ma io sto già bene.

Lo spirito aveva già intuito i suoi pensieri perché subito disse: per la tua conversione, fai attenzione al vero significato delle mie parole.

Si senti prendere da una mano e un'istante dopo si rese conto che stava volando, non vedeva più la città sotto di se, si trovava in un altro posto e si vide ragazzino.

Visitarono i luoghi in cui Ernesto era bambino e poi diventare giovanotto, gli prese una fortissima emozione quando rivide sua sorella, sempre piena di premure e di dolci parole verso di lui, un vero angelo, anche se molto più piccola lui, che si prendeva a cuore tutti i suoi problemi e vicissitudini. Lo spirito lo sorprese mentre accarezzava dolcemente quella tenera ragazza, che conforto quella piccola figura gli infondeva, si sentiva sicuro, forte e determinato. Agnese, lo guardava e sorrideva, gli occhi erano due stelle, brillava di uno splendore inusuale dalla testa ai piedi.

Ti ricordi di quando diventò donna? Disse lo spirito – No, ero in giro per il mondo e non ho più avuto notizie della mia famiglia – rispose Ernesto.

Allora sappi che quella splendida ragazza è morta di parto e ha avuto due figli.

No, solo uno rispose Ernesto ed è venuto a trovarmi.

Poi si trovò ragazzotto a fare l'impiegato in un magazzino assieme a Mario (suo carissimo coetaneo) e la sera di Natale a ballare nella tradizionale festa degli auguri di Natale organizzata dal suo principale e gestita con sobrietà dalla moglie di questi. Festa perfetta, sana allegria, senso di felicità e appagamento. Alla fine della festa Ernesto e Mario non finivano di ringraziare il datore di lavoro.

Lo spirito gli fece risentire le ultime parole di ringraziamento e domandò: Sono normali tutti questi ringraziamenti al tuo datore di lavoro?

Oh no, vedi,il lavoro può essere leggero o pesante, un piacere o una fatica, il lavoro da lui era fatto di momenti fuggevoli, di parole e di sguardi che non è possibile addizionarli o contarli, la felicità che danno queste cose minime non hanno prezzo. Alzò lo sguardo verso lo spirito e si fermò. Perché non continui disse lo spirito.

Niente, niente fece Ernesto.

Eppure qualcosa ti succede.

E che vorrei dire una o due parole al mio impiegato. Tutto qui.

Poi si ritrovò in una stanza dove una donna vestita a lutto stava piangendo, erano lacrime che la forza del Natale faceva scintillare, la riconobbe, era Giulia la sua ex fidanzata.

Perché piangi, sei ancora offesa?

No, l'uomo che ho conosciuto dopo di te è stato speciale in tutti i sensi, è stato il punto di riferimento della mia vita, a lui debbo tutto. Adesso che ti vedo penso a ciò che sarebbe stato e non è stato. Il nostro legame è vecchio, ricorda i giorni quando eravamo giovani e poveri, ma contenti di esserlo perché speravamo di migliorare la nostra vita con il lavoro, la pazienza e l'amore.

Ero un ragazzo ed ero impaziente, volevo bruciare le tappe e il matrimonio non mi avrebbe consentito di dedicarmi agli affari con tutto me stesso, ho scelto un modo di vivere che non permetteva a nessuno di intralciare i miei piani. Ho scelto di vivere solo.

Credo che non sia normale vivere alla tua maniera, riprese Giulia, una volta mi sono trovata a passare per il tuo negozio e ti ho visto lavorare dietro una candela accesa, non ho potuto fare a meno di vederti, eri solo, in quella orribile stanza buia, come un albero spoglio.

Ernesto voleva continuare a discutere ma sentì la spalla libera da quella mano e si ritrovò nella sua gelida stanza. Protestò con il fantasma.

L'ora a mia disposizione è scaduta, non posso restare, devo dar conto e afflosciandosi svanì.

Solo allora Ernesto si rese conto di aspettare la visita di un secondo spirito.

L'orologio del campanile lo trovò con gli occhi chiusi a ripensare agli avvenimenti testé trascorsi, era l'una di notte, istintivamente apri gli occhi e si ritrovò in un altro ambiente, le mura non erano più anonimi, dal tetto pendevano fiori, alberi sempre verdi e un profumo di bacche selvatiche aleggiava nell'aria. Il camino ravvivava l'ambiente con il calore di una allegra fiamma, una novità per Ernesto. Il pavimento era pieno di oche, tacchini, cacciagione, pollame, salame, grandi pezzi di carne, porcellini da latte, lunghe collane di salsicce, pasticci di carne, budini, canestri di ostriche, castagne calde, mele, arance, grandi focacce, fumanti tazze di cioccolato e tanti tipi vino ed al centro stava seduto un fantasma.

Chi sei domandò Ernesto.

Sono il fantasma di questo natale.

Ho rivisto il mio passato, prima che giungessi tu, quanti errori ho commesso nella mia vita, comincio a sentire nel mio animo la volontà di rimettermi. Puoi insegnarmi tu qualcosa?

Afferra il mio mantello e tienilo stretto con le tue mani

Ernesto si affrettò a seguire l'ordine del fantasma e si trovò fuori all'aperto in una giornata rigida in mezzo al festoso chiasso dei bambini che si rincorrevano, si chiamavano, si scambiavano allegramente lanci di palle di neve ridendo quando queste centravano il bersaglio, i negozi erano tutti aperti e gli scaffali traboccavano di mercanzie, tutti si salutavano, si scambiano gli auguri di natale, si sentiva tutt'intorno un'aria di festa, eppure la città non aveva cambiato volto, la festa si sentiva dentro, non era una cosa che si poteva afferrare, ma c'era, si sentiva, si percepiva negli occhi della gente, dal suo camminare, dal suo parlare, da come si scambiano parole ed abbracci. Riconobbe tanta gente povera che allegramente portava il suo pranzo a cuocere al forno, ed erano felici. Poi le campane chiamarono a raccolta i fedeli e tutti chi vestito bene e chi meno si avviarono verso la chiesa felici di vivere il natale.

Notò che il fantasma aveva in mano una specie di ramoscello con il quale spruzzava dell'acqua aromatica sulla testa della gente.

Cosa spargi fece Ernesto.

E' il mio aroma, si adatta ad ogni tipo di persona, specialmente alla povera gente. Il loro pranzo di natale avrà così un gusto particolare.

Perché anche ai poveri?

Perché ne hanno più bisogno.

Lo spirito fece arrivare Ernesto sull'uscio del suo unico impiegato, Bartolomeo, e si mise a benedire quella casa con il rametto di acqua odorosa.

Che fai?

Benedice anche lui. Con quei quattro soldi che gli do la settimana. Non avrà neanche di che comprarsi il pane per oggi, cosa serve benedirlo, come potrà mai essere felice costui, rimuginò Ernesto nella sua testa.

Guarda!

Il loro sguardo andò oltre il muro che avevano di fronte.

La signora Belinda Caracciolo stava cucinando il pranzo e i figli con aria allegra, di quella delle grandi feste, preparavano la tavola, i ragazzi avevano ancora nel naso il profumo del tacchino che avevano annusato al forno li vicino, ma non importava, il loro modestissimo pranzo la loro mamma l'aveva quasi finito di cuocerlo.

Cosa sarà mai successo al vostro caro papà e al piccolo Daniele. Marta è sicuramente in ritardo di una buona mezz'ora.

Mamma è arrivata Marta con suo marito grido Gina. Marta baciò i ragazzi e posò un piccolo pacchetto sul tavolo. Guarda mamma, Marta ha portato il tacchino ripieno gridò la più piccina (il tacchino era molto piccolo), in quel mentre entrò Bartolomeo con sopra le spalle Daniele che appena messo a terra prese le grucce poste all'angolo e si mise ad aggirare per la casa. Quelle grucce gli servivano per camminare visto che le sue gambe erano sorrette da un apparecchio di ferro.

Ma dove siete stati chiese Belinda ad Bartolomeo.

In chiesa a vedere il presepe, abbiamo pregato affinché Gesù faccia guarire le gambe di Daniele. Oggi è un giorno particolare, tutto può succedere.

Finito di cenare misero sul fuoco le castagne e un'infuso di cioccolata e quando questa fu pronta Bartolomeo si mise in piedi e propose un brindisi. Lieto natale a tutti e che Dio ci benedica – La famiglia gli fece eco.

A vedere quella famiglia felice balenò un'idea ad Ernesto, quasi quasi gli riduco lo stipendio, anche se il pranzo è stato povero dove hanno preso i soldi per festeggiare il natale, ma fu un attimo e si pentì al solo averlo pensato.

Non riusciva a capacitarsi, una famiglia vestita di stracci con una casa disadorna e piena di freddo potesse avere tanta bontà, tanto amore l'un per l'altro, essere così uniti da sembrar un tutt'uno, e poi quel Daniele così sofferente, vedere la gioia di vivere negli occhi di quel bimbo lo impressionava. Non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Daniele.

Poi lo spirito lo portò in casa del nipote.

Anche lì l'aria della festa si poteva toccare con mano, tutti erano gentili e affettuosi e quando venivano gli altri nipoti era sempre un ripetersi di abbracci ed auguri per una vita serena.

Una nipote chiese dello zio Ernesto, un'altra le rispose che con il suo carattere burbero, scostante e solitario certo non avrebbe passato un buon natale, lo zio non meritava altro se non la tristezza di cui si era circondato. Non sono d'accordo con te fece Nitto, certo lo zio soffre gli errori della sua vita, ma il natale, il natale porta sempre con se la bontà divina e anche lui ha diritto alla sua parte.

Toh! Cominciava ad essergli simpatico quel suo nipote Nitto, nonostante il suo carattere quel nipote non riusciva ad odiarlo. E sentì per la prima volta nella sua vita il petto gonfiarsi di affetto e riconoscenza. Era una dolce strana sensazione.

Ernesto si ritrovò nella sua squallida stanza. Com'era passata in fretta quell'ora, com'era dolce quel suo nipote. Poi pensò a Daniele, quel piccino così gracile e indifeso, così sofferente e nello stesso tempo vispo e felice di vivere. Vivere! Ma con quella malattia che gli ha preso le gambe Daniele potrà vivere? Se quella malattia si dovesse propagare che cosa ne sarebbe stato di lui. Mentre i suoi pensieri erano attraversati da questo dubbio che per la prima volta nella sua vita non erano solo per se stesso sentì il rintocco delle campane della chiesa.

Lo spettro, il terzo, si presentò avanzando lento, grave e silenzioso. Quando gli fu vicino, Ernesto, percepì un senso di oscurità e di mistero.

Timidamente e spaventato disse, sei tu l'ultimo spirito che aspetto?

Per tutta risposta il fantasma fece cenno con la mano verso il basso.

Benché assuefatto, ormai, alla vista dei fantasmi questo gli incuteva più timore. Questo era il Natale del futuro e lui cominciò a temerlo di più. Non riusciva a camminare perché gli tremavano le ginocchia e stette li fermo un bel po' finché non riuscì a riprendersi e cominciò a dire. Spettro del futuro so che sei venuto per farmi del bene, per aprirmi gli occhi di ciò che sarà, perché non parli?

Il fantasma senza proferire parola si mise a camminare. Si trovarono in chiesa, al funerale di un uomo d'affari. La chiesa era stracolma e nessuno pregava per quell'anima, piuttosto la gente era intenta a bisbigliare e lo spirito fece in modo di far ascoltare ad Ernesto i loro discorsi.

Quando è morto? Domandava uno mentre sbadigliava.

Ieri notte, fece un altro.

E di che cosa è morto? Sembrava che non dovesse morire mai, fece un altro ancora nel mezzo di uno sbadiglio.

Boh, chi lo sa.

A chi ha lasciato le sue sostanze? Forse alla sua ditta visto che nessuno si è fatto avanti.

Certo non li lascerà a me, fece un altro ancora, e guardandosi scoppiarono in una grossa, gigantesca risata.

Fuori dalla chiesa, ognuno intento al suo lavoro, la povera gente commentava la dipartita di quella persona, che in vita li aveva trattati da vero tiranno.

Adesso vediamo se porta con se tutte le sue cose, disse la lavandaia al suo servizio, che se ne fa ora di tutti i suoi beni, a chi andranno le sue fortune. Lui sicuramente non può portarsele all'inferno.

Queste cose non mi interessano rispose il tuttofare di quel signore, certamente non voglio fare la sua fine, non mi interessano queste sciocchezze, penso in che maniera ha reso l'anima a Dio. Nessuno si è occupato di lui quando è crepato, se fosse stato meno avaro non sarebbe morto boccheggiando fino alla fine, solo come un cane. Io non voglio morire alla sua maniera, voglio sentire il calore, l'amore dei miei fino alla fine. Questo mi basta.

Spirito – disse Ernesto, ora capisco, rabbrividendo al solo pensiero. La sorte di questo infelice e la stessa che può capitare a me. Ecco dove mi sta portando la mia vita.

Ma almeno chi ha avuto il lascito di questa persona avrà pure avuto pietà per l'anima sua e detta qualche parola di ringraziamento. Lo spirito puntò il dito in un'altra parte della città dove nello stesso momento dei funerali di quel signore c'erano chi cercava, di fronte ad un notaio, di rosicchiare la parte più cospicua, mentre i servitori facevano man bassa di tutto ciò che era alla loro portata. Disprezzavano quell'uomo per come erano stati trattati e impadronirsi delle sue cose era per loro un atto di giustizia.

Ernesto era terrorizzato.

Ti prego spirito fammi vedere cosa mi succederà.

Il dito del fantasma indico una casa a lui conosciuta

Si trovò in una stanza in cui la tristezza era rotta solo dal rumore del silenzio, visi scarni, cupi, sofferenti, alti nella dignità del dolore, lacrime cocenti versava la madre di un bimbo appena morto. Riconobbe quel viso, era la mamma di Daniele. La malattia di quel bimbo si poteva curare solo in qualche ospedale ben attrezzato e la cura di cui aveva bisogno costava particolarmente cara per la famiglia Caracciolo.

Ernesto chiese grazia al fantasma. Fammi parlare con la madre del piccolo Daniele. Il fantasma invece fece ascoltare la risposta di Belinda a quella richiesta. “Non voglio vedere quel mostro di avarizia senza cuore del datore di lavoro di mio marito. Noi non chiediamo niente alla vita se non il giusto riconoscimento al dovere. Mio marito lavora con grande professionalità nel negozio di questo signore e la ricompensa di tanta dedizione al lavoro è la resa in estrema indigenza della sua famiglia. Guarda solo al suo personale tornaconto calpestando la dignità del lavoro altrui. Non si è mai curato dei suoi simili. Con la forza di un uragano cominciò ad elencare i misfatti di costui concludendo con una terribile frase – Possa Iddio fargli conoscere la dannazione eterna, Il fuoco dell'inferno lo possano inghiottire per l'eternità -.

Ernesto restò sbigottito e confuso, tutto quello che Belinda aveva detto era vero e cominciò a tremare come una foglia al vento per l'anatema che senti trapassare il suo corpo.

Appena ripresosi da questo stordimento vide suo nipote bussare alla porta di Bartolomeo, fu ricevuto come se fossero amici da tempo, mentre si erano incontrati nella vita solo la vigilia di natale scambiandosi gli auguri.

Poi si trovò dentro un cimitero dove in mezzo alle lapide curate e infiorate si trovava la sua ultima dimora, una lapide abbandonata dove mai nessuno aveva appoggiato un fiore, un lumino o recitato una preghiera. Era solo anche da morto su questo mondo mentre scontava i suoi peccati in un luogo terribile la sua anima.

Spirito, urlò Ernesto, afferrandolo per il mantello, perché mi hai fatto ascoltare e vedere questo. Sono proprio queste le considerazioni alla mia persona?

Spirito buono, continuò Ernesto, piangendo in ginocchio davanti a lui, tu devi avere pietà per me, devi darmi un'altra occasione affinché io possa redimermi.

Un silenzio irreale coprì le sue parole, cercava disperatamente di non lasciarsi fuggire dalle mani quel mantello per obbligare lo spirito ad una risposta alla sua richiesta, il freddo della notte rattrappiva le dita delle mani finché non ebbe più la forza e lentamente gli scivolò la presa del mantello.

L'orologio del campanile suonò le ore tre di notte e lui si trovò seduto ai piedi del letto madido di sudore. Stanotte ho vissuto il mio passato, il mio presente e il mio futuro, mentre per ciò che è trascorso fino ad ora non posso fare niente, debbo cercare di cambiare il mio futuro. Qui bisogna cambiare rotta, non posso finire così e con questi pensieri l'alba lo sorprese nel giorno del natale. Un conflitto interiore si abbatté sulla sua persona, le vecchie abitudini, il vecchio stile di vita contro la nuova idea di vita. Si sentiva trasportato ora qua ora là, alla fine la figura del piccolo Daniele e lacrime di sua madre ebbero il sopravvento su di lui e prese una decisione, anzi – LA DECISIONE - , si cambia vita. Da questa mattina voglio essere felice anch'io, voglio vivere il Natale nel segno del buon'umore e dell'allegria.

Si presentò in casa del nipote per sapere se a tavola c'era posto anche per lui.

Nitto neanche gli rispose, gli butto le braccia al collo e lo baciò sulle guance, entra zio, questo è il più bel natale della mia vita, vieni che ti presento gli altri. Stapparono una bottiglia di spumante per festeggiare l'avvenimento, la presenza di Ernesto era per Nitto una cosa eccezionale e andava adeguatamente festeggiato. Ernesto salutò tutti, uno per uno, di tutti chiese notizie, voleva conoscere la vita di questi parenti, recuperare un rapporto mai esistito. Notò che in mezzo a quella gente si sentiva bene, man mano che si parlava, la diffidenza spariva, faceva capolino nella sua coscienza tanti natali sprecati nel nulla e nello stesso tempo sentiva quel calore umano attorno alla sua persona che lo stordiva e l'ubriacava. Ernesto diventò allegro come un ragazzo.

Nitto, per cortesia, vai in giro per le botteghe e compra ciò che ho scritto su questa lista, questo è per me un giorno speciale e voglio festeggiarlo come si deve, poi ripensò a come si era rivolto a suo nipote, “per cortesia”, da quando tempo non usava questa piccolissima frase, e torno a sorridere compiaciuto di averla detta.

A fine pranzo volle andare in casa dei suoi nipoti, nel tragitto incontrò quel gentiluomo che era venuto a fargli visita nel suo negozio. Vi ricordate di me, disse mentre lo fermava, buon natale a voi, ditemi com'è andata la vostra raccolta ieri. Bene, sapete anche se non girano molti soldi, per natale la gente è sempre generosa, e si ritrovò un assegno in mano con una cifra per lui impressionante. Signore non ho visto tanta generosità in vita mia, siete sicuro dell'importo. E che vi sono anche gli arretrati prese a dire Ernesto, soldi che potevo e non ho dato, che Dio benedica la gente come voi che si occupano e preoccupano per queste persone.

L'indomani il negozio era regolarmente aperto e alle 9 vide che la sedia del suo impiegato era ancora vuota, Bartolomeo si presentò con diciotto minuti di ritardo.

Bartolomeo salutò e si mise subito a lavorare, scriveva più veloce del solito come se volesse recuperare quei diciotto minuti. Signor Caracciolo non vi sembra di essere in ritardo, lo ghiacciò la voce di Ernesto.

Vi prometto, signore, che non succederà più, sa, ieri per natale abbiamo fatto un pò tardi.

Venga qui se non le dispiace.

Bartolomeo notò una riga sul tavolo del padrone e pensò che volesse picchiarlo.

Capisco, capisco, Fece Ernesto, e porgendogli la mano gli fece gli auguri di Buon Natale.

Bartolomeo ebbe un momento di smarrimento, forse devo chiamare l'ambulanza, e diventato sicuramente pazzo pensò.

Rinnovandogli gli auguri di natale, Ernesto disse che da quel giorno gli avrebbe aumentato la paga e si sarebbe interessato della sua famiglia.

Nel pomeriggio fece una visita alla famiglia Caracciolo, conobbe tutti compreso il Piccolo Daniele e come promesso in seguito si interessò di quella famiglia.

Daniele guarì ed era un piacere vederlo giocare assieme ai suoi coetanei, asciugargli il sudore delle sue corse, il sudore della vita

Qualcuno in paese rideva alle sue spalle per il repentino cambiamento di vita di Ernesto, ma lui non se ne curava, era felice quando aveva tra i piedi quel rumoroso rompiscatole che era diventato Daniele. Erano diventati inseparabili, tutti e due avevano una cosa in comune, erano tornati alla vita, ognuno nel suo senso.

Dal libro di Charles Dickens - Liberamente condensato da Salvatore Ventura

 

 

 
Ernesto Tirabasso
 
La visita dell'amico
 
Trasportato dal fantasna
 
Primo fantasma
 
Secondo fantasma
 
Terzo fantasma