Il Fiume Gela
Questi pionieri, costeggiando con le loro navi lungo il litorale meridionale della Sicilia, ebbero notizie, dai Fenici, che a sud-est della Sicilia, si trovava un fiume, il quale, come il Nilo, con le sue acque fecondatrici, rendeva fertile il territorio circostante.
Raggiunta tale località, attratti dal panorama meraviglioso, dall'incantevole bellezza dei luoghi e dalla vicina spiaggia sabbiosa, vi si accamparono e fondarono tosto una cittadella, nelle vicinanze del fiume, che chiamarono “Lindioi”, a ricordo della città originaria dei Rodioti. Quando poi, col passare degli anni, la città si ingrandì, la denominarono Gela dal nome del fiume.
Pausania infatti dice:” Ghela, polis tes Sikelias, apò tou potamou Ghela Kaléitai ”, che tradotto suona; Gela, città della Sicilia, viene denominata dal fiume Gela.
Il grande Virgilio, nel libro terzo dell'Eneide, esclama: “ Adparent Camarina procul campique Geloi immanisque Gela, fluvi cognomine dicta ” e cioè: Ad una certa distanza da Camarina si vedono i campi Geloi e la grandissima città di Gela, così chiamata dal nome del fiume.
Scelta migliore certo non potevano fare queglli antichi pionieri!... Infatti la fertilità del luogo fu particolarmente utile allo stabilirsi di importanti commerci e di varie industrie, sicché Gela, piccola Egitto fertilizzata dal suo Nilo in miniatura, si arricchì e divenne potente, al punto di trovarsi al centro di importanti vicende, campo di battaglia tra Greci e Cartaginesi, nodo centrale di nevralgici momenti della storia siciliana, arbitra delle sorti dell'Isola, centro di testimonianze storiche ed artistiche di una grande ed importante civiltà.
Gela, infatti, fondatrice di Akragas, estese il suo dominio nella sicilia orientale fino alla stretto di Messina e lo mantenne fino al 282 a.C. quando fu distrutta dal tiranno di Agrigento Finzia.
Circa l'origine del nome del fiume Gela, è interessante conoscere l'opinione di alcuni autori che la fanno derivare, etimologicamente, da voci diverse.
Secondo alcuni deriva dal mitico “Gelone” (non certo il tiranno di Gela e di Siracusa), figlio della ninfa Etna e d'Imaro.
Secondo altri, dalla parola cartaginese “Bela”, che significa “vorticoso”; altri ancora la fanno derivare dalla parola dialettale sicana “jelu”= Gelo, ghiaccio, perché nelle fredde notti invernali, l'acqua straripata sui margini del fiume, congelava; altri infine la fanno derivare dal verbo greco “Ghelào”, che significa ridere e quindi un fiume e una terra ridente.
Il fiume Gela degli antichi Rodio-Cretesi, non era certamente quello di oggi, quasi asciutto e tale da traghettarlo a piedi, né l'ambiente circostante era lo stesso. Difatti, come è facile intuire, e come gli storici asseriscono, il Gela attraversava molti densi boschi, che attiravano frequenti piogge benefiche. Numerosi i suoi affluenti, quali il Gattaneo, Il Rabbito, Il Comunello ed altri, che versando le proprie acque nel Gela, formavano un ampio e profondo letto, sovrabbondante di acqua, che spesso straripava, divenendo “vorticoso” e rompendo gli argini delle sue rive.
Lungo il suo corso il Gela cambia parecchie volte nome. Così alla sorgente è detto “Fiume di Giozzo”, poi “Fiume di Nociarà”, quindi “Fiume della Porcheria”, più a valle “Fiume di Cassari” e infine fiume Gela. Gli Arabi lo chiamavano “Fiume del Miele” nella parte alta (forse per i molti alveari che vi si trovavano) e “Fiume delle colonne” alla foce (per le numerose colonne dei templi che la sovrastavano.
Per quanto riguarda la curiosa denominazione di “Fiume della Porcheria”, in territorio di Mazzarino, alcuni storici, con a capo il Cluverio, la fanno derivare dal fatto che, scorrendo in una valle, trascina tutto con sé; altri, fra cui Li Gotti, perché la valle in cui scorre era adibita ad allevamento di porci.
E, riflettendo, possiamo dire che le due tesi sono valide entrambe e si completano a vicenda.
Per quando riguarda la “vorticosità” del Gela, secondo la testimonianza di persone anziane del nostro tempo, citate da L. Aliotta, in seguito alle correnti marine che si formano nei periodi di tempeste, l'incontro, alla foce, delle acque del mare con quelle del fiume, dava luogo a grandi vortici che non permettevano alle imbarcazione di piccolo cabotaggio, di avvicinarsi appunto alla foce.
Questo fatto spiega anche il verso di Ovidio: “ Et te vortici bus non adeunte Gela ”, quando nel suo mitico viaggio, il Poeta, costeggiando il Mediterraneo, parla dell'antico mito di Cerere e Proserpina (per i greci: Demeter e Kore), e fa notare appunto l'inaccessibilità del Gela per i suoi vortici.
Altra caratteristica speciale del fiume era quella di essere sottostante alla collina su cui era stata fondata la città. Ovidio infatti dice: “ Gela, flumini imminens ” che traduciamo: la città di Gela che sovrasta il fiume.
Concludendo questo capitolo sul fiume Gela, diciamo che esso era tanto importante per gli antichi Geloi, che veniva ritenuto “sacro” ed era venerato come una divinità, poiché apportava il benessere e la fertilità dei campi.
La divinità fluviale era raffigurata nelle medaglie e nelle monete con il corpo del toro ed il volto umano, in una espressione soddisfatta e sorridente, come si può notare nella illustrazione qui riportata, in cui è raffigurata una donna (che rappresenta la città di Gela) nell'atto di incoronarlo.
Primi stanziamenti umani in Sicilia
I primi stanziamenti umani in Sicilia, sembra, secondo gli storici, che risalgano al periodo Paleolitico Superiore, cioè all'età della pietra scheggiata, periodo in cui l'uomo primitivo, dedito alla caccia e alla pesca, cercava ricovero sotto le rocce o nelle grotte naturali e si ricopriva delle pelli degli animali che uccideva per nutrirsi.
Sappiamo che le Civiltà più antiche, che la storia ricordi, si svilupparono nella parte orientale del Mediterraneo. Difatti quando in Italia, nella Spagna, nella Grecia, la vita delle popolazioni era ancora rozza e primitiva, in Egitto e nell'Oriente, fiorirono splendide Civiltà che durarono a lungo. Tuttavia, nei successivi millenni, anche le popolazioni della parte occidentale, conobbero la luce della Civiltà, a cui apportarono il proprio originale contributo.
Comprensibili, naturalmente, sono le ragioni di questo sviluppo di Civiltà, se si tiene conto che il Mediterraneo è uno dei più grandi mari interni della terra, favorito da un clima temperato e costellato di isole, che facilitano la navigazione di navi piccole, mossi da remi o vele.
Le coste mediterranee sono facilmente accessibili e, nel loro complesso, fertili e ospitali. Questi elementi naturali favorirono, nei tempi antichi, l'insediamento di numerose popolazioni e permisero loro di intrecciare una fitta rete di relazioni commerciali e culturali, agevolando nel contempo un reciproco sviluppo. La posizione della Sicilia, al centro del Mediterraneo, giustifica la funzione che essa ha esplicato nella Storia, essendo stata sempre oggetto delle brame di tutti i popoli, roccaforte di Imperi in lotta per il dominio di questo mare.
Il più antico nome della Sicilia è Trinacria; nell'Odissea riscontriamo anche due forme: Sikelia (Il termine Sicilia dovrebbe derivare dall'unione di due termini antichi " SIK " ed " ELIA " indicanti il fico e l'ulivo , simboli che rappresenterebbero la fertilità della terra siciliana) e Sikania. I Romani la chiamarono Triquetra. I due appellativi Sikania e Sikelia sono, nel contesto storico, indizio dei primissimi popoli che abitarono la Sicilia, mentre la denominazione greca (Trinacria) e romana (Triquetra) testimoniano, con l'evidente riferimento geografico alla sua forma ed ai tre promontori, l'interesse destato dall'isola sin dai tempi più antichi.
La Sicilia, infatti, offrì nell'antichità basi commerciali di primordine per gli itinerari dei grandi popoli navigatori, ed anche nei tempi moderni non ha perduto la sua importanza, essendo al centro delle grandi vie di comunicazione tra il Mediterraneo, l'Occidente e l'Oriente.
La storia della Sicilia si suole fare iniziare dal secolo XIII a.C. in cui si avvicendarono le varie popolazioni dei Sicani e dei Siculi e poi via via dei Fenici, dei Greci, dei Romani, dei Goti, dei Bizantini, dei Musulmani e dei Normanni.
Dalle notizie pervenuteci dagli storici più antichi, circa i primissimi stanziamenti umani in Sicilia, possiamo dire che i primi abitatori dell'Isola furono: I Sicani, Gli Elmi, i Siculi. Il carattere però discordante e contraddittorio delle notizie dei vari storici, non ci permettono di precisare la razza e la provenienza di essi.
Infatti, secondo Dionigi di Alicarnasso, i Siculi, all'arrivo dei Pelasgi, passarono dalla Penisola in Sicilia, sino allora abitata dai Sicani, che furono sospinti nella zona occidentale dell'isola. Ellanico Lesbio (citato da Dionigi di Alicarnasso) afferma che la Sicilia fu soggetta a due invasioni: degli Elmi prima, e degli Ausoni (cinque anni dopo) guidati da Siculo loro re.
Filisto Siracusano dice che “popoli di razza ligure (né Ausoni, né Elmi), guidati da Siculo, figlio di Italo, cacciati dalla Penisola dagli Umbri e dai Palasgi, giunsero in Sicilia e sosteneva che anche ai tempi della guerra di Troia esistevano nell'isola i Sicani.
Secondo Antioco Siracusano, i Siculi passarono in Sicilia, cacciati dagli Enotri e dagli Opici.
Infine, Tucidide afferma che nell'isola si avvicendarono nell'ordine: Ciclopi, Lestrigoni, Sicani, (non autocni, ma provenienti dall'Iberia, da dove sarebbero stati cacciati dai Liguri), Elmi, Focesi, Siculi, Fenici, Elleni.
Secondo le testimonianze di altri storici, come Diodoro, Giustino, Cluverio ecc. la Sicilia fu abitata dopo il diluvio universale e che i primi a scoprirla furono gli aborigeni cioè i cosidetti Giganti, che erano discendenti del terzo figlio di Noè, Jafet, i quali, entusiasti della fertilità del suolo, vi costruirono le loro abitazioni.
I Greci, parlando di loro, li distinsero con vari nomi, secondo i mestieri da loro esercitati: Ciclopi furono detti gli estrattori di minerali, Lestrigoni, i coltivatori dei campi, Feaci i naviganti, Lotofagi i coltivatori dei giardini, e tutti vivevano con le loro famiglie, liberi e indipendenti gli uni dagli altri.
I primi abitanti di Gela
Il primo insediamento della razza umana a Gela fu sicana.
Si erano stanziati in prossimità della costa, o, a non molta distanza da essa, su ogni altura dove fosse conveniente lo stabilirsi di una comunità, in relazione alla fertilità della zona, alla possibilità di trarne i mezzi per vivere e di provvedere contemporaneamente alla loro difesa da eventuali nemici.
Dalla storiografia greca apprendiamo i nomi di alcuni centri di indigeni: “Omphake” (nel territorio gelese) ”Mactorion” (nel territorio di Mazzarino), “Kakyrie”ecc. (Pausania – VIII-46).
In seguito, secondo quanto dice Dionigi di Alicarnasso (1,22), i siculi (popolazioni, di lingua indoeuropea, provenienti dalla Spagna e dalla penisola italica, comandati da Siculo, loro re), scacciati dai Pelasgi, passarono dalla penisola in Sicilia, sino allora abitata dai Sicani.
I Siculi si stanziarono nella zona centro orientale dell'isola, dopo aver sostenuto terribili lotte con gli indigeni.
Essi, come è logico pensare, essendo più numerosi, più uniti ed agguerriti dei Sicani (per lo più sparsi a gruppi di famiglie di qua e di là) ebbero facilmente il sopravvento: li sconfissero, molti ne uccisero e dei sopravvissuti: alcuni fuggirono nella parte occidentale dell'Isola, altri che si erano arresi, ebbero la possibilità di convivere coi nemici, rinunciando naturalmente alla loro individualità etnica.
Cosi i siculi, che, a loro volta, furono poi, in parte scacciati e dispersi, in parte assimilati e assorbiti dalla colonizzazione greca, cui “non opposero molta resistenza”; per la prevalente civiltà”, erano un misto di Siculi e Sicani.
Secondo una tesi sostenuta dal gelese Luigi Aliotta (Gela nei secoli – Da Eschilo alla scoperta del petrolio), i primi greci ad arrivare a Gela furono i Rodioti, guidati da Antifemo, il quale sbarcato nella zona tra Montelungo e Manfria, scoprì su di una collina un centro abitato di pastori sicani che usavano radunarsi, la sera, attorno ad una statua gigantesca. Quel centro era chiamato “Omphake”, (Pausania VIII, 46 – papiro Oxyr IV, 605), che è legata alla leggenda di Minosse e Dedalo.
Antifemo, assaliti di sorpresa, quei pastori, ne distrusse la città (Omphake), trafugandone la statua dedalica di Giunone ed in quella zona costruì la cittadina di “Lindioi”, in omaggio e ricordo della sua città di origine, “Lindos”.
Quasi contemporaneamente Eutimo coi suoi cretesi si era impadronito, dopo aver sconfitto ed allontanato i gruppi di indigeni che vi risiedevano, della zona ad est della collina (Mulino a Vento) e vi costruì la sua città, che chiamò “Eraclea” dal nome della capitale dell'isola di Creta, Cnosso, che è anche chiamata “Heracleion”.
In seguito, quando i Rodioti da ovest si spostarono sulla collina, con le loro abitazioni, verso est, ed i Cretesi da est verso ovest venendo a formare una grande città, di comune accordo, la denominarono “Gela”, dal nome del suo fiume.
Molti sono i nomi che ha avuto Gela nei vari periodi della sua storia, dalle origini ai giorni nostri, anche se poco o niente ci è dato conoscere dalle civiltà risalenti al 2° e 1° millennio a. C.. Di esse infatti solo recentemente sono state portate alla luce alcune vestigia, nella zona archeologica di Mulino a Vento.
(La scoperta nel 1982 di 4 tombe enolitiche sull'estremità orientale della collina di Gela, fa supporre l'esistenza di una necropoli del III millennio a. C., e porta alla convinzione che l'intera collina, da Piano Notaro a Mulino a Vento, fosse ricoperta da villaggi enolitici con relative necropoli.)
Alla fine del VI secolo a. C. è questo il nome della città “Gela”, durerà per circa tre secoli, fino a quando cioè essa fu totalmente distrutta, nel 282 a. C., ad opera di Finzia, tiranno di Agrigento, con l'aiuto dei Mamertini, mercenari italici a servizio di Agatòcle, tiranno di Siracusa.
Sulla Gela distrutta cadeva il silenzio, anche se nella campagna circostante, continuavano ad esistere nuclei di popolazione dedita all'agricoltura e alla pastorizia.
Il lungo silenzio che incombe sulle rovine dell'antica Gela, si protrae per oltre un millennio.
Non si sa, con precisione, da quando, ma certamente in questo lungo periodo di silenzio e di tenebre, la città riprese il nome di Eraclea. Il fatto è che il nome di “Eraclea”, riferito a Gela, divenne ufficiale negli atti e nei registri della chiesa locale.
Nel l'anno 1223 Federico II di Svevia fece ricostruire la medioevale città di “Terranova”, circondandola di mura (dette Federiciane), sulla parte est della collina.
Nel 1862 l'amministrazione Comunale “in ottemperanza ad una circolare della locale Sotto Prefettura, (che era ubicata nel palazzo in cui oggi ha sede il Consorzio di Bonifica) aggiungeva a Terranova, la denominazione “di Sicilia”, per distinguerla da altre dello stesso nome, così la città fu chiamata “Terranova di Sicilia”
Infine nel 1927, durante il periodo fascista, su istanza del podestà Dott. Antonio Vacirca Aldisio, fu recuperato l'antico nome di Gela, a ricordo della gloriosa e importante città dell'antichità classica.
Dal libro "L'antichissima Gela" di Gino Santagati