Nel 689 A. C. Antifemo ed Entimo approdarono con le loro navi in un bellissimo golfo della Sicilia, e non vennero per caso ma su indicazione di navigatori fenici, (che in quei tempi, erano i più esperti navigatori del mediterraneo, che tra l’ VIII e VII secolo A. C. avevano disseminato la costa meridionale ed orientale dell’isola di piccolissimi villaggi che servivano loro come fattorie e punti sicuri di sbarco delle loro mercanzie destinate alla commercializzazione con i siculi), che descrivevano le bellezze del luogo in cui scorreva un bel fiume e una terra fertile dove non vi era una vera e propria città ma nuclei di aborigeni (Siculi). Quindi il posto era già conosciuto ed apprezzato dai commercianti di allora, ed i nostri Antifemo ed Entimo veleggiarono verso il punto indicato e sbarcarono presso la foce del fiume Gela, il quale scorre e lambisce il lato estremo Est della collina, e dal lato Nord domina l’immensa pianura, cinta da una corona di belle colline degradanti verso il mare, che la chiudono a forma di anfiteatro.
Attratti dal panorama meraviglioso che si gode dalla terrazza della collina, lunga circa 4 Km e larga circa cinquecento metri, si accamparono e fondarono la città a cui diedero il nome del fiume, Gela.
Le colline che circondavano il paesaggio erano, allora, coperti da una vasta selva adatta ad abbondanti pascoli e la pianura era solcata da ricchi corsi d’acqua, principalmente i fiumi Gela e Maroglio, che a 350 metri dal mare si riunivano e formavano una unica ampia e profonda foce tanto da permettere il rifugio delle navi che a quei tempi erano leggere e con poco pescaggio. Nella fitta macchia che ammantava le colline vi era abbondanza di selvaggina tra cui il cinghiale e il cervo. (L’esistenza di questi animali nelle zone boschive di Gela, è provata dalla presenza di ossa e di corna di questi animali, in alcuni sepolcri di campagna “Spinasanta, Priolo e Desusino” tra gli avanzi delle libagioni rituali del seppellimento dei morti).
Antifemo ed Entimo con i loro uomini incontrarono resistenza da parte dei Siculi abitanti del luogo, ma i greci ebbero subito partita vinta su quella gente primitiva e male armata e quindi non in grado di difendersi dagli invasori audaci e ben armati.
Ben presto il nuovo insediamento attrasse forti e cospicue correnti immigratorie di altra gente di stirpe greca attratti dall’abbondante acqua che scorreva e dalla altrettanto abbondanza di prodotti che la piana riusciva a produrre e che la facevano sacra a Cerere.
Gela, grazie al fiume a alla sua fertile pianura prese un rapido e grande sviluppo tanto da soverchiare qualsiasi altra città della Sicilia, per cui incominciò ad espandersi oltre i propri confini. Questa espansione viene provata dalla conquista di Ompake fatta da Antifemo (Ompake era un piccolo centro abitato dai Siculi nelle vicinanze di Gela, il cui posto è ignoto).
Lo sviluppo grandissimo, raggiunto nel periodo di un secolo dalla sua fondazione, fu tale che, per eccesso di popolazione, una colonia di geloi, guidati da Pistillo e Aristoneo, nel 580 A. C., fondò una nuova città vicino al fiume Acragas, e gli diedero il nome del fiume stesso, e la governarono con le leggi e costituzione della madre patria (Si narra che ogni anno nell’anniversario della fondazione di questa città, cento cavalieri geloi a cavallo e riccamente abbigliati si recavano ad Acragas a portare il saluto e l’augurio della madre patria Gela).
Nel VI secolo, periodo di grande potenza per Gela, avvenne la famosa secessione della plebe di Gela, certamente originata da dissensi e contrasti d’indole economica, sorti con la classe aristocratica, la quale oltre a detenere il potere politico, aveva il possesso delle terre, abbandonò la città e si rifugiò nella vicina Maktorion (Butera o Mazzarino?), forse colonia dei Siculi.
Il Gran Sacerdote e Pontefice del culto di Cerere, Teline, il quale godeva di grande stima tra la plebe riuscì a comporre il grave dissidio e dopo accordi con i magnati geloi, stilarono un concordato chiuso da un giuramento da ambo le parti. (La ribellione della plebe di Gela ebbe grande eco tra le città siceliota e fece scuola; in epoche posteriori venne imitata dalla plebe di Siracusa, la quale cacciò dalla città gli aristocratici, e da quella di Roma che si rifugiò sul mote Mario).