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Cose di un tempo

La caccia

 

 

L'armeria di Giovanni Bosco si trovava lungo il Corso V. E. vicino alla salumeria di Galanti, di fronte alla cartoleria Trainito, era un luogo di ritrovo per gli amanti della caccia, dove si raccontavano le varie gesta e le vicissitudini quotidiani dei cacciatori.
Il carattere di Giovanni Bosco era gioviale, piena di satira e questa era l'aria che si respirava all'interno del suo negozio. Non era raro sentire storielle di cacciatori gelesi impegnati spasmodicamente alla ricerca di cacciagione il cui carniere non sempre era pieno, anzi spesso era vuoto, mai ammesso davanti agli amici.

 

La vita di lu cacciaturi gilisi

 

La vita di lu cacciaturi è troppu amara

campa di liusuni e sempri spera

sempri lamento porta ‘ndi lu cori

ppi la sfurtuna ca lu fa dannari.

Va battennu muntagni, vadduna e lavanara,

la scupetta è gravusa, e cchiù nun sa fira,

e a rriti leggia comun ‘na bannera.

Veni austu e sittembri: è l'apirtura!

Ci riri lu cori, e allegru pensa e spera

A cunigghia a pirnici ‘ndi lu sonnuu

E a li lebbira ca sbattiri lu fannu.

Veni ottobri, novembri e poi dicembri,

friddu forti, acqua, trona e bbentu;

lu cacciatutri ' nforza lu lamentu

ca la caccia si chiuri a trarimentu.

Po c'è lu lacu, appressu li rriddeni

ca di Duriddu fanu fari và e bbeni,

e se ci rriva ppì ccasu a sparari

certementi si metti a bistimmiari,

pirchì fu forti oppuri nchiummatu,

e lu cartocciu fu mali sparatu.

Poi veninu li turturi e li quagghi,

fa matinata, lassa mugghieri e figghi,

ppì vinti jorna fa la stessa strata

ma mai ci ncappa na jurnata furtunata.

Poi la caccia si chiuri ppì tutti li cosi

e finalmente riposa lu cacciaturi gilisi.

Giovanni Renda

A cura di Antonio Bosco

 

 

Ritratti

 

Cari amici, permettete

che con poche pennellate

vi presenti, in pochi istanti

tre fenomeni viventi.

Cacciatori, professori

sportivoni per la pelle

ne combinan delle belle.

Don Nenè, gran cacciatore

è un uomo di valore.

 

 

 

Ma sovente, che peccato

dagli amici è bistrattato.

Sol perché col suo fucile

corre a caccia sull'arenile

e sparando a destra e a manca

sbaglia sempre e mai si stanca.

Suo compagno è sor don Rocco

cacciatore di gran stocco

con cui spesso fan macelli

di cicoria e aggitelli.

Spesse volte fan M….hargello

per spartirsi il grosso merlo

che don Rocco, a tradimento

a ucciso in un momento

con un colpo di fucile

che ha tirato in grande stile

accorgentosi per caso

che Nenè l'aveva già ucciso.

Don Nenè, gran dosatore

è un vero professore

la sua dose: sette con otto!

Polvere sopra e piombo sotto.

Anni addietro il poverino

ha ucciso un cardellino

ma poi disse ai suoi amici

“oggi ho preso tre pernici”.

Quel ch'è peggio cara gente

è sto fatto strabiliante

a Gigetto volle insegnare

l'arte nobile di cacciare.

Ma l'alunno, più sapiente,

del maestro fu più valente

ogni volte che tirava

di sicuro a segno andava.

Don Nenè, che s'arrabbiava,

che disgrazia! Non colpiva.

La colpa a Bosco dette

che la polvere gli vendette.

E così, cari signori

questi son tre cacciatori

buontemponi, allegri e fieri

con i vecchi moschettoni.

Or vi chiedo, per favore,

(quale merito al valore)

di scherzare onestamente

senza offendere la gente

che la troppa confidenza

non finisca in mala creanza

e lo scherzo più sincero

si trasformi in odio fiero

(Il poeta maledetto)

A cura di Antonio Bosco

Storiella

 

Cacciatori, all'erta state,

questa storia attenti udite,

che, se ha molti vanto ha dato,

ha molti altri svergognato.

Dunque, fu che una sera,

una banda allegra e fiera,

se ne andò, sperando bene,

di sparare alle “riddene”.

Con la “jeep” di Turillo

presto giunsero a Dirillo

e guardarono con piacere

di riddene pieno il mare.

Nominar presto occorreva

chi guidar la comitiva:

Crapanzan, fra tutti, dotto,

caporal fu presti eletto.

Alla sera, a tempo e loco,

il segnale diè del foco,

e i fucili con fragore

seminarono il terrore

nello stormo di riddene

che piacchiavan così bene

da coprire di caduti

i macconi e i vigneti.

Risultato delle botte

fu di soli cinquantasette

marzaiole vive e morte,

oltre a quelle non raccolte.

Un bel numero, si sa,

che a ricordo resterà.

E sia gloria a Crapanzano

che da grande capitano

diede a tutti l'occasione

di riempire il tascapane,

e di fare con piacere

un bellissimo carniere.

 

Il ritorno fu veloce,

ma più lesta fu la voce:

la notizia della taglia

fece a tutti meraviglia.

E già molti, in cuor loro,

si accingevano al lavoro,

per tornare bene armati,

a cercare morti e feriti.

Anche grandi cacciatori,

di fucile professori

non andarono a dormire

accingendosi a partire

per cercare, come sciacalli,

le riddene fra le valli.

Pur don Saro ed altri amici

se ne andaron felici

con le moto (o malaccorti)

per rangiunger prima di tutti

i macconi e i vigneti

pien di caccia immaginati.

Quel che peggio adesso viene

che patiron molte pene:

Non sapendo le contrade

si smariron per le strade.

Finalmente verso le sette,

arrivaron con l'ossa rotte,

poi, col freddo e l'appetito,

si trovaron a mal partito,

ed accesero un fochetto

per scaldarsi il cuore e il petto.

Riposatosi per bene

s'avviaron al maccone

 

per cercare la caccia morta

che col buio non s'era scorta.

Ma per loro confusione

avean perso direzione,

e strappandosi i capelli

non trovaron più gli uccelli.

Ma sul tardi giunsero altri

di costoro ben più scaltri

tiraron il braccio lesti

alla cerca di quei resti,

con gli schioppi sulle braccia

come quando vanno a caccia,

e con gli occhi e con i cani

rovistaron tutti i macconi

invocando tutti i santi

di trovar, sia pur…puzzanti,

o mangiate dal forame

(tal era la loro fame!)

i relitti irrilevanti

delle stragi precedenti.

Aguzzarono l'ingegno

E cercaron con impegno,

chi a manca chi a destra,

fra il ginepro e la ginestra,

sotto i giunchi e i cespugli,

fra le vigne delle “Idogli”.

Accadeva, a mala appena

dopo un tiro di pedana,

di raccogliere stecchito

un uccel dimendicato,

e scordavan quei compari

tutti i loro bocconi amari.

Continuaron a cercare,

alfin, stanchi di…sparare,

conteggiaron le riddene

rastrellate fra le dune:

conta e conta, che rovina!

furon solo mezza dozzina.

Certo furon fortunati,

anche se un po' umiliati

se, così, senza sparare,

rimediaron il carniere,

raccattando le altrui bucce

risparmiaron la cartucce,

ritornando allegri e fieri

come grandi moschettieri.

L'indoman, saputo il fatto,

così come fu eletto

Capanzan fu degradato

Che la caccia avea lasciato

morta e viva nel maccone.

“Sei passato da minchione!”,

poi gli disse allegramente

don Giovanni Bosco, il grande.

Or finito è il racconto

del più grande avvenimento

che si sia registrato

nella storia del creato.

Sono certo che è piaciuto

pure a chi non l'ha gradito;

se qualcuno si è offeso

umilmente io mi scuso;

se qualcun non è contento

dica pure il suo tormento,

e con tanta simpatia

vi saluto e vado via.

 

Giovanni Renda

A cura di Antonio Bosco

La famiglia di Giovanni Bosco