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Iniziò gli studi a Camerino proseguendoli poi a Matelica dove inizia a lavorare come verniciatore in un mobilificio, cambiando poi lavoro in fattorino in una conceria dove diventa prima operaio poi tecnico. 
In pochi anni diventa uomo influente a livello internazionale soprattutto in campo petrolifero contribuendo al famoso miracolo economico italiano. 
Nel 1945 Nel maggio 1945 fu nominato Commissario Straordinario dell'AGIP per l'Alta Italia. In tale veste si oppose allo smantellamento dell'attività mineraria dell'AGIP ordinandone, anzi, il proseguimento con quella intensità e quella decisione che nel marzo del 1946 consentirono di scoprire il giacimento di Caviaga primo di una serie di importanti campi metaniferi la cui produzione determinò in Italia una vera rivoluzione nel settore delle fonti di energia. 
Fonda il quotidiano "Il Giorno", viene laureato ad honorem in ingegneria mineraria sia  al Politecnico di Torino che all'Università di Bologna. Per primo inizia i contatti con il Medio Oriente e con paesi  Africani  quali l'Egitto la Persia la Libia, suscitando così le ire delle "Sette sorelle" capitanate dagli industriali americani che tentano in tutti i modi di ostacolarlo. 
Nell'ottobre del 1962 a Bescapé (PV) il suo aereo bireattore precipita al suolo per cause ancora oggi poco chiare. 



LE CONDIZIONI ECONOMICHE DEL TERRITORIO

Il 10 Marzo del 1965 ha segnato una tappa decisiva nel cammino di Gela e della Sicilia verso il progresso economico e sociale e l’inserimento pieno nel mondo moderno.
L’importanza dell’avvenimento, che suggellava anni di ricerca coraggiosa, di iniziativa intelligente e di lavoro instancabile, è stata sentita profondamente dal Capo dello Stato, Onorevole Giuseppe Saragat, che è intervenuto e partecipato alla cerimonia di inaugurazione dello stabilimento petrolchimico E.N.I. di Gela, portando ai tecnici, alle maestranze e alla Sicilia tutta un saluto ed un augurio che non saranno dimenticati.
Perché proprio a Gela accadeva un così importante evento?
E’ necessario tornare indietro rispetto a quella data che ha segnato una tappa importante per la città di Gela ed analizzare, in maniera approfondita, tutti gli aspetti economico-sociale in cui si trovava il territorio di questo estremo lembo d’Italia e, più in generale, buona parte della Sicilia.
Difficilmente, chi non c’è vissuto può avere un’idea precisa di quelle che erano le condizioni di vita delle popolazioni meridionali, e soprattutto di quelle che vivevano al di fuori dei grossi centri urbani.
Lunghe file di carretti percorrevano, all’alba per andare ed al tramonto per ritornare, le strette strade sterrate. Si arrivava al posto di lavoro già stanche, ancor più stanchi si ritornava a casa. Il riscatto sociale di questa enorme risorsa umana negli anni 50-60 sembra molto lontano dal realizzarsi. Sembrava che anche nel dopoguerra, con l’avvento della democrazia, la caratteristica comune dei governi della Repubblica fosse quella di mantenere le masse in condizioni di miseria, di ignoranza e di abbandono.
La miseria era caratterizzata dalla fame, dalle malattie, dalla mortalità elevata.
Le case dei contadini, nessuno viveva in campagna, erano dei tuguri bui, dove raramente entra un raggio di sole.
Erano quasi tutte a livello di strada, ed in queste spesso vivevano persone ed animali.
Il bracciantato, in queste condizioni di vita, rappresentava una notevole risorsa lavorativa. Per i braccianti era importante trovare lavoro, e i salari di fame erano comunque sempre preferibili al non far nulla.
Imperava l’arroganza dei possidenti, e nessuno osava contrastare le angherie e i soprusi che continuamente venivano perpetrati contro le classi più deboli. Si affittavano per una manciata di spiccioli, da parte delle famiglie più indigenti e numerose, i bambini per adibirli al duro lavoro dei campi e alla custodia delle mandrie e delle greggi.
Per loro il ritorno in famiglia avveniva pochissime volte l’anno. Per esigenze di sopravvivenza, si toglievano all’affetto dei genitori i figli; anche i sentimenti sembrava che fossero di serie superiore e di serie inferiore. Non si capiva che tutti, e tutti indistintamente, siamo nati da un atto d’amore unico, universale, profondamente sentito e vissuto.
La fuga dall’obbligo scolastico era quasi una esigenza vitale; nelle famiglie, le bocche da sfamare erano così di meno, quel po’ di vitto che il “Padrone” erogava veniva anche rinfacciato con alterigia e tracotanza.
Questi episodi di vita, per i nati della seconda metà degli anni 50, sono incredibili solo a sentirli raccontare.

ENRICO MATTEI
L’UOMO DELLA SVOLTA NEL TERRITORIO

Cnoscere il passato è importante per proiettarsi nel  futuro. E’ risaputo che il futuro spesso dipende dal passato, nel saper leggere e capire gli eventi che si sono succeduti, nell’interpretarli e rivisitandoli e nel trarre linfa sempre fresca e vitale.
La storia inizia proprio nella metà degli anni 50, dalla sfida lanciata da un solo uomo al sistema economico egemone delle compagnie petrolifere (le famose sette sorelle), ed a una parte consistente del potere politico.
Quest’uomo è ENRICO MATTEI:
Un giornalista francese nel descrivere  la sua figura nota che la cornice che circonda Mattei non corrisponde affatto alla posizione importante che occupa nella vita economica del suo paese.
Nel suo ufficio, peraltro uguale a quelli dei suoi subalterni, tanto da sembrare l’ufficio di un caporeparto, non vi sono mobili di lusso, libri, quadri e busti di bronzo. In quella stanza non vi è niente che non si configuri con il duro lavoro quotidiano. Anche la persona di Mattei ed il suo modo di fare non mettono in evidenza la sua importanza.. il suo viso è opaco, olivastro, e le sue mani fortemente solcate. Quando prende la parola per delineare una sua posizione in merito al tema che prospetta non ammette che sia interrotto fin quando non ha espresso del tutto il suo pensiero, le sue esposizioni sono un meccanismo pronto ad entrare in azione. L’ascoltatore è forzato a seguirlo anche se a volte gli riesce difficile. Quel che Mattei cerca assolutamente di impedire, è che nel gruppo si facciano pesare le differenze di classe creando turbamenti.

LA COSTRUZIONE DELLO STABILIMENTO

Finiti gli anni più duri del dopoguerra, l’Italia aveva scelto la strategia del cambiamento; la propria economia da agricola si trasforma rapidamente in economia industriale.
Era cominciato così il Miracolo economico degli anni 50 che presto porterà tutto il paese a cambiare radicalmente nei costumi, nei modi di pensare, nel modo di vivere.
Il boom economico era nella sua massima fase di espansione, soprattutto nell’Italia settentrionale quando si iniziava a Gela questa immensa costruzione dello stabilimento, ed aveva toccato forse il vertice di una parabola che successivamente sarebbe stato difficile raggiungere.
L’industria si sviluppo in questo decennio grazie al particolare rilievo assunto dagli idrocarburi nel sistema delle fonti energetiche.
Mattei aveva ideato un grande disegno di politica energetica volto ad eliminare il monopolio del cartello internazionale, con la finalità di contenere i prezzi del greggio, che, invece erano artificialmente tenuti elevati in base ai costi di produzione americani, notoriamente più elevati di quelli mediorientali.
La contrazione dei prezzi del greggio avrebbe necessariamente tagliato fuori dalla competitività la fonte energetica che fino ad allora andava per la maggiore in Europa e cioè il Carbone.
La politica di Mattei e quindi dell’E.N.I. era essenzialmente fondata nell’introdurre nel mercato petrolifero molti produttori indipendenti, sul risveglio politico dei paesi produttori specie Arabi ed Africani e sull’importazione di materia prima (greggio) da paesi che non erano soggetti ad alcun tipo di cartello (greggio sovietico).
La su apolitica lungimirante contribuì forse anche a cambiare radicalmente il quadro geografico delle zone sottosviluppate.
In questo contesto generale sorgeva lo
Stabilimento.
Lo stabilimento petrolchimico di Gela è una città nella città. Si staglia maestoso e oserei dire solenne nella piana di Gela.
Visto dall’alto, dal Parco delle Rimembranze, sembra quasi una visione fantascientifica. Si erge con le sue torri di acciaio, con i suoi pennacchi di vapore che nella rarefazione dell’aria assumono colori indescrivibili. L’illuminazione di sera, è fantasmagorica.
Si stende con una lunga interminabile fila di lampade fin dentro il mare quasi a costituirne un tutt’uno.
Terra e mare sono congiunti, a significare l’importanza notevole che entrambi hanno per la sua esistenza e sopravvivenza.
Alla data dell’inaugurazione lo stabilimento in realtà era già in produzione con gli impianti che erano stati previsti si realizzassero nella prima fase di investimento.
La posa della prima pietra, presente l’ing. Mattei, era avvenuta il 19 giugno 1960.

IL RUOLO CARDINE DELL’OPERAIO GELESE

Non possiamo limitarci a celebrare l’industria petrolchimica di Gela senza ricordare l’impegno e il ruolo dell’operaio gelese , dotato di grande professionalità ed attaccamento alla fabbrica. La sua opera non è venuta mai meno, contribuendo ad aumentare la ricchezza nazionale, col cuore gonfio di orgoglio, poiché non possono non sentirsi artifici di una crescita che li visti partecipi attivi anche in momenti difficili.
Dalla fabbrica l’operaio gelese è stato sottratto alle sue tradizionali abitudini sforzandosi per riuscire a non essere da meno a coloro i quali giungevano con un più consolidato bagaglio di esperienze.
E così che Gela oggi annovera lavoratori ad alta specializzazione, la cui manodopera è  ancora richiesta in Italia, in Europa e in tutto il mondo.
Ricordare gli anni di attività industriale significa ripercorrere anni di lotte e di vita sindacale, Abbiamo registrato un rapporto dialettico tra lo sviluppo industriale e crescita del movimento sindacale. La città in pochissimo tempo ha avuto un addensamento urbano e demografico vertiginoso e, per l’incapacità della classe politica dirigente, alla rinfusa. E davanti agli occhi di tutti il degrado urbano. I dirigenti sindacali di allora, avvertirono subito che era necessario creare una grande organizzazione in grado di poter guidare i lavoratori non solo per la costruzione dello stabilimento ma anche per  intervenire nella società per cambiare le condizioni civili e sociali.
I primi anni furono caratterizzati da grandi lotte per affermare principi ancora validi oggi, per creare posti di lavoro stabili e che tenessero conto dell’uomo , dei suoi valori e dei suoi bisogni.. Nei primi anni vi fu una trasmigrazione di mano d’opera passando dalla costruzione dello stabilimento alla conduzione degli impianti, dimostrando una grande capacità di riqualificazione.
Fino agli anni 80 non si profilano segni di crisi occupazionali  che invece si avvertiranno dopo e  condurrà successivamente alla cassa Integrazione e alla mobilità.

Fonte: Carmelo Vasta

 
Lo stabilimento in costruzione
 
Vacuum
 
Il Presidenter dello Stato italiano, Saragat, a Gela per inaugurare lo stabilimento
 
Il Presidente Saragat, dopo l'inaugurazione, visita gli impinati
 
Mattei visita gli impianti dopo l'inaugurazione
 
Mattei tra gli impiegati gelesi
 
Lo stabilimento petrolchimico
 
Lo stabilimento
 
La centrale termoelettrica
 
Le caldaie della centrale
 
Il frazionamento aria
 
Un gruppo di impianti (In primo piano l'isola 5)
 
Anni 60 - L'isola 7 e i camini della centrale
 
L'isola 7
 
La raffineria vista dall'alto
 
Lo stabilimento visto dal mare
 
Panoramica dello stabilimento
 
Panoramica dello stabilimento
 
Panoramica dello stabilimento
 
Uno dei primi pozzi
 
Pozzo Agip - Anno 1959
 
Pompe di estrazione - Campo Giaurone
 
Il primo pazzo a mare - Lo scarabeo
 
Offshore - Anno 1960
 
2008 - Trivella per ripristino pozzo
 
Piattaforma a mare - Pozzo Prezioso
 
Diga foranea
 
Petroliere alla fonda
 
Nave petroliera
 
Rimessa antincendio del petrolchimico di Gela
 
Quartiere Macchitella
 
Quartiere Residenziale di Macchitella
 
Quartiere Residenziale di Macchitella
 
L'auriga
 
Panoramica notturna dello stabilimento
 
La fontana
 
La poesia di Antonio Sciandrello

 

GELA

Cu ti governa
ti vurria mangiari
pirchì nun penza
ca prestu si mori.

Lu to passatu
un si po’ scurdari
di greci, di finici
e saracini.

Cù veni e veni
ccà ci pizza l’ali
iddi sù morti
ma Gela nun mori.

Terra d’amuri,
china di traggeri
si comu na sirena
di lu mari.

Cù ti canusci
nun si ni pò ghiri
e ‘ncatatu resta
lu so cori.

 

TEMPU TRADITURI

Passa lu tempu
e nun si po firmari
passa di cursa
sulu ppi li vivi.

Ma quanti voti
u tempu è tradituri
ca si riposa
e nun vò passari?

Cu havi prescia
fa li ragnateli
e passa la so vita
‘ntra na gnuni.

Fina c’arriva lu so
tempu e mori,
senza co tempu
lu viri passari.

Tempu ca passi
tempu trarituri
c’hai la prescia
sulu ppi li vivi.

E iu tra suspira
e peni amari
ti chiamu forti

e tu mancu mi viri.
 

MI METTU A TALIARI

Iu certi voti
mi ‘nni vaiu o mari
quannu l’haiu cubbusu
lu me cori.

Supra nu scogghiu
mi mettu a talari
e viru na varcuzza
senza rimi,

l’urnazzi ca la
fannu sbattuliari
comu na testa
china ‘i pinzeri.

 

I SPORCA PAISI

Maria! Nun si po’
cchiù camminari,
di unna pigghiu
e pigghiu
cc’è fumeri.

Ammatila mi
misi li stivali,
cci voli
la varcuzza
ccu li rimi.

 

A SSI MARIOLI

Acidduzzu
ca voli mari mari,
dammi ‘ncunsigghiu
e na pinna di ss’ali,

quantu cci nni dicu
quattro a ssi marioli
a ssi gintazzi vili
e trarituri.

E ntisu na sciumara
di paroli
nni li cumizzi
e supra li giurnali.

Ccu ssi paroli
ni vonnu ‘mbriacari
pp’aviri i voti
e iri a lu putiri

accussì diventinu signori
cca coffa china
senza travagghiari.

E a niatri ni fannu muriri
iccati o ventu 
peggio di l’armali.

 

IU FIMMINI NE VISTU

Ruppi na corda
di la me chitarra
appena vitti
‘ssa facciuzza bedda.

Comu ti viru
lu sangu mi balla
e ‘mbriacu restu
i ssa figura snella.

Iu fimmini ne vistu
na sciumarra,
ma tu sciatuzzu
si na dea ‘nterra.

Si comu ‘n sciuri
‘ddivata i na serra
c’allaria aperta
u so profumu spanna.

Ti vogghiu beni
e tu mi fai sciarra
ccu ttia iu facissi
amuri e guerra.

 

DU FORZI E NA VALIA

Quannu mi pigghia la a malincunia
pigghiu la pinna
e fazzu na statia
e pisu sti du armali
ca su d'intra di mia.
Una ca ruggi
e forti caucia
l'atra sirena
e china i fantasia.
Sta lotta la ma
menti sballuttia
pirchì sunu
du forzi e na valia.

 

 

M'HAIU A LUNTANARI

Caminu ccu li jammi
e li pinzeri
di stu munnazzu
m’haiu a luntanari.

Mi n’haiu agghiri
unna spunta u suli
quantu nun c’è nuddu
ca mi po truvari.

Luntanu mi nni
vogghiu iri,
luntanu di sta
genti senza cori,
sempri cca riti
a fari ragnateli,
besti feroci
peggiu di l’armali.