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Lato sud del Castelluccio
 

Il Castelluccio

 

A sette chilometri da Gela, in contrada Spadaro, distante qualche chilometro dalla Statale per Catania, si erge su uno sperone di roccia gessosa una costruzione fortificata a cielo aperto con due torri terminali denominata Castelluccio; incerto è il periodo della sua edificazione, c’è chi dice risalga al XIII secolo e quindi al periodo federiciano, ma la menzione più antica del Castelluccio è contenuta in un atto di donazione del 1143 con il quale Simone, Conte di Butera, della famiglia di Bufera, dona all’abate di San Nicolò l’Arena di Catania alcune terre site nell’area meridionale della contea ed il Castelluccio viene citato come termine di confine all’estremità orientale dei beni assegnati al monastero. Quindi nel 1143 il Castelluccio già esisteva,
Di pianta rettangolare e di quasi perfetta simmetria (misura metri 30x11x12), l’edifìcio è costituito da un pianoterra, che prende luce da diverse feritoie e da alcune finestre, e dai resti di un piano superiore. L’interno, in origine, era diviso da cinque archi ogivali, disposti trasversalmente, finalizzati a sostenere la copertura; la torre di Ovest, che conteneva la cisterna in cui si raccoglieva l’acqua piovana, difendeva l’ingresso situato su un piano più basso rispetto a quello dell’ edificio; tale ingresso conserva ancora sul pavimento un foro su cui girava il cardine del portone e sulla parete una canaletta per l’inserimento di una trave di chiusura.
    Gli interventi sul Castelluccio hanno riguardato da una parte il restauro dell’immobile, dall’altra la realizzazione di una serie di scavi per individuare le prime fasi di vita dell’edifìcio ma anche frequentazioni dell’area precedenti il periodo medievale. Il restauro ha comportato tra l’altro la realizzazione di una incastellatura di acciaio, che fa accedere alla parte sommitale del fortilizio, e la costruzione ex novo di una porzione di parete crollata a causa di un cedimento strutturale, cedimento che una recente pubblicazione (Gela II Castelluccio - di S. Scuto e S. Fiorilla - Messina 2001), attribuisce erroneamente «...al bombardamento navale dell’incrociatore Bolse che l’11 luglio 1943 apriva il fuoco contro Castelluccio e Ponte Olivo». In realtà il crollo era già preesistente e in modo certo fin dal 1930, come attesta una fotografia d’epoca, in nostro possesso, scattata in quegli anni da Girolamo Guglielmino.
    Durante gli scavi, effettuati dalla Soprintendenza a partire dal febbraio 1987, si sono evidenziate diverse fasi di vita e una serie di profonde trasformazioni architettoniche (notevole è la presenza nella parete meridionale di un camino con colonnine trecentesche alla base) di cui l’ultima, che doveva trasformare il castello in palazzo e che è rimasta incompleta, è rilevabile dalla sopraelevazione dei muri perimetrali e dalla centinatura dell’arco interposto tra la quarta e quinta divisione. Interessanti, infine, sono risultati i vetri, i bronzi, i ferri e i resti dei manufatti ceramici, databili tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo, rinvenuti nelle varie campagne di scavo all’interno del Castelluccio. Nel XIII secolo il castello, con le vicine terre, fu dato in feudo ad Anselmo Moach di Modica e ai suoi eredi fino al 1364; durante il regno di Martino d’Aragona l’edifìcio e le terre passarono a Buggero Impanella, il quale nel 1422 li vendette a Simon de Carella coppiere regio. Successivamente castello e terre vennero in possesso al patrimonio degli Aragona Cortes di Terranova e poi ai Pignatelli prima di finire al demanio. Nel 1993 il Castelluccio fu aperto alla pubblica fruizione e subito ebbe una significativa quantità di presenze; però, dopo quasi sei anni fu chiuso con la motivazione che la zona era infestata da zecche. E’ da ritenere, pertanto, se questo è il motìvo vero, che nel territorio di Gela esisterebbe una specie nuova di zecca che riuscirebbe a vivere profìcuamente anche nei mesi invernali.
    Ironia a parte, il Castelluccio, purtroppo è ancora chiuso alla pubblica fruizione, forse per mancanza di custodi. Del fortilizio di epoca federiciana scriviamo affinchè la soprintendenza ai Beni Culturali ed ambientali di Caltanissetta si ricordi di questo monumento e appronti il necessario per restituirlo ai visitatori prima che l’usura del tempo, la mancanza di una copertura (sarebbe il caso di metterla) e il vandalismo diffuso possano danneggiarlo seriamente e irreparabilmente.

Fonte: Nuccio Mulè

 
Lato nord-est del Castelluccio
 

La leggenda del Castelluccio

 

Ancora oggi, quelli che furono ragazzi una volta, riportano i racconti, le favole e le leggende che hanno imparato a conoscere dai loro nonni.
Una di queste è certamente la leggenda del Castelluccio.
Viveva fra quelle mura una nobildonna di cui si perse il nome, forse perché nessuno osava chiamarla per nome tanta era la paura che essa incuteva ai suoi visitatori che siamo costretti a chiamarla con il nome generico de “La Castellana”.
Essa era la moglie di un signorotto a cui era stato affidato questo maniero per difendere la zona dalle incursioni dei saraceni, e quindi di tanto in tanto vi erano riunioni di gente d’armi.
La Castellana era una donna molto alta ed esile con una bellissima chioma nera che arrivava fin sotto le spalle ed erano lisci e setosi. Le labbra erano truccate con del rossetto verde così come le unghie delle sue mani. Era una strana figura di donna tanto bella quanto crudele che riusciva ad ammaliare gli uomini che venivano a contatto con lei, con la sua voce soave  intonava delle canoni che ella stessa scriveva, per poi  farli sparire senza lasciare nessuna traccia.
Nessuno è mai riuscito a sapere da dove potesse prendere quel rossetto verde tanto che alcuni pensavano che fosse frutto della sua bile che ella riusciva ed estrarre dal proprio corpo  e confezionare nel segreto del suo castello.
Nella conduzione del suo maniero era feroce con i servitori e quando doveva uscire dal castello, anche per pochi metri, indossava un mantello bicolore, verde all’esterno e azzurro all’interno. E quelle pochissime volte che usciva a cavallo tutti gli uomini lasciavano i lavori dei campi per nascondersi tanto era il terrore che incuteva.
Nessuno le faceva visita, i nobili per trattare di affari con lei mandavano dei messaggeri  che nella maggior parte delle volte non facevano ritorno dai loro padroni, a volte neanche i colombi viaggiatori tornavano. Solo le persone adibite alle armi non potevano rifiutarsi a frequentare quel posto.
La sera poi era un incubo passare da quelle parti perché il castello era abitato dai fantasmi, persone ricche e famose, condottieri e genti d’armi, nei loro costumi, si aggiravano nel maniero in cerca della pace perduta e per custodire i loro averi che la Castellana aveva loro carpito e messo insieme e che quindi facevano parte della cosiddetta “truvatura”
E lei, La Castellana parlava e discuteva con loro come se nulla fosse  accaduto, come se fossero persone vere, persone vive.
Poi non si sentì più nulla e quel maniero sembrava diverso, chissà perché…. si domandavano alcuni proprietari limitrofi.
I più coraggiosi si misero assieme e pian piano si avvicinarono al castellucio…e grande fu la loro sorpresa nel constatare che esso era disabitato…semplicemente disabitato come fino ai giorni nostri.

Fonte: Salvatore Ventura

 
Inrteno del Castelluccio
 
Scorcio della piana vista dall'interno del Castelluccio