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Lato est della torre
 

La torre di Manfria

 

Un importante monumento che si può osservare in contrada Manfria, a quindici chilometri da Gela, è quel che rimane di una torre di avvistamento e difesa denominata “Torre di Manfria”. L’inizio della costruzione è controverso. Secondo alcune fonti, torre risale al 1549, durante il vicereame di Juan de Vega, secondo altre, invece al 1583. Comunque sia stato, si sa di certo che dopo essere rimasta incompiuta, fu ripresa nel 1615 e completata ad opera del Viceré di Sicilia Pedro Tellez Giron y Guzman Duca di Ossuna su disegno del famoso architetto fiorentino Camillo Camilliani. Delle duecento e più torri costiere dell’Isola, che formavano un rudimentale sistema di vigilanza strategico-militare per segnalare i pericoli provenienti dal mare, la torre di Manfria, detta anche di Ossana o Ossuna, era una tra le trentasette più importanti e dipendeva dalla Deputazione del Regno; i quattro torrari che l’abitavano segnalavano, durante il dì con specchi e fumi e di notte con fuochi (i fani), l’arrivo dei barbareschi alla torre di Falconara, a Ovest, e ad Est al campanile della chiesa di Santa Maria de’ Platea che fungeva anche da torre secondaria di avvistamento e segnalazione. Con un sistema intermedio di postazioni e di torri di segnalazione, le informazioni quindi arrivavano alla torre di Camarana, a Est nei pressi di Santa Croce Camerina, e con gradualità alle altre del circuito isolano fino a raggiungere. nel giro di un’ora, quei porti dove esistevano flotte navali da guerra che immediatamente prendevano il mare per contrastare l’azione offensiva del nemico. Le segnalazioni, inoltre, erano destinate agli abitanti della città e della campagna tramite torri secondarie come quelle dell’Insegna e del convento dei Padri Cappuccini. Oltre ai torrari erano pure pertinenza della città diversi gruppi di guardie a cavallo che percorrevano il litorale fino al fiume Dirillo. La torre di Manfria è a pianta quadrata con basamento fortemente scarpato che misura circa 12,5 metri per lato. In origine era costituita da due piani, il pianoterra che serviva come deposito di acqua, legna, munizioni, spingarde, schioppi, polvere da sparo e palle di cannone e il primo piano che serviva da alloggio ai torrari (caporale, tenente e soldati).  Inoltre, il terrazzo, provvisto di parapetti, tettoia e due balconate, sostenute da eleganti mensoloni di arenaria, ospitava due cannoni. L’accesso alla torre avveniva dal primo piano con una scala di legno o una corda retrattili prima che nel 1805 fosse costruita una scala in muratura a due rampe. Nello stesso anno fu anche realizzato il secondo piano. I torrari provvedevano a realizzare le segnalazioni con la produzione di fumi durante il dì e con l'accensione di fuochi durante la notte in concomitanza dell'avvistamento di navi saracene; i segnali erano percepiti da altre due torri vicine, quella di Camarina. ad est e l'altra di Falconara ad ovest, che a loro volta li trasmettevano al circuito isolano di torri costiere, che erano più di  200, in maniera tale che le popolazioni della costa approntassero in tempo utile le necessarie difese contro l'arrivo dei pirati; allora "mamma, li turchi", era un’espressione tipica di cui ancora rimane il ricordo per la ferocia con cui tali pirati barbareschi trattavano le popolazioni dei luoghi costieri depredati. Una decina di anni fa la Torre di Manfria (la cui proprietà appartiene ancora ai fratelli Jacono), grazie ad un progetto approntato dal Comune, fu illuminata con fari a vapore di sodio che la resero visibile di notte in tutta la sua possente maestosità a decine e decine di chilometri di distanza. L'illuminazione, però, durò solo qualche mese. Infatti, i fari, comprese le pesanti nicchie di pietra che li contenevano, e lo stesso impianto elettrico furono oggetto di una feroce azione vandalica tale da mettere fuori uso definitivamente l’intero impianto. Da allora in poi, tranne un intervento di recupero (peraltro inconsistente) di qualche anno fa, la Torre di Manfria continua ad essere erosa dalle intemperie e rovinata da ulteriori azioni vandaliche senza che nessuno riesca ad intervenire. E così, da più di un cinquantennio, si continua ad assistere impotenti alla degrado di questo importante monumento dell'antichità.
Attualmente la torre, per l’usura del tempo e l’incuria dell’uomo, è mal ridotta e l’intervento riparatore di qualche anno fa è servito a poco. Sarebbe ora che il Comune di Gela intervenisse per salvare la torre procedendo prima all’esproprio, come bene monumentale di interesse collettivo, e poi alla ristrutturazione. Diversamente, per la Torre di Manfria si prospetta una brutta fine.
Fonte: Nuccio Mulè

 
Lato nord della torre
 

La leggenda di Manfria

Nel crepuscolo della sera , quando i bimbi finivano i giochi per strada e tornavano a casa erano soliti farsi raccontare dalle nonne i racconti e le leggende che a loro piacevano.
E fra i racconti della sera non poteva, certamente, mancare la leggenda del Manfrino.
Chi era Manfrino?
Egli era un uomo tanto grande da identificarsi con il nome di Gigante, altri nomi non conosciamo di questo personaggio così grande ed anche  così buono.
Il Gigante aveva una sorella bella e splendente nella sua giovinezza e che per riservatezza non usciva mai dalla sua terra, tanto che nessuno sapeva il suo nome e quindi la chiamavano "la bella Castellana".
La Torre di Manfria aveva annesso un grande territorio che arrivava vicino al Castello di Falconara, suo confinante,  ed era un territorio molto bello e molto fertile tanto che ospitava tanti alberi, secolari, da frutta, palme, campi da orto e una distesa di fiori che il Gigante aveva voluto coltivare per la gioia della sorella, la Castellana, a cui tanto piacevano. Nel territorio di Manfria scorrevano un fiume e tanti  piccoli ruscelli e l’acqua, purissima, non mancava mai. Tutto questo ben di Dio lo avevano ereditato da un cavaliere di Malta di cui non si conosce il nome.
Il Manfrino  come lo chiamavano  i suoi pari di Sicilia o Il Gigante come lo chiamava il popolino non stava mai fermo e con il suo cavallo era sempre in giro  sia perché gli piaceva correre, sia perché così controllava tutto quello che accadeva nel suo territorio e nulla gli sfuggiva.
Un giorno, in una di quelle galoppate, vide in lontananza una bellissima figura di donna, aveva una folta chioma bionda, vestita con eleganza e si muoveva con una grazia che  lui non aveva mai visto in altre donne, che si aggirava nei suoi campi come se si fosse perduta. Il nostro Gigante spronò il cavallo a tutta velocità per andarle incontro e conoscerla, ma allorquando arrivò nei pressi di lei, quella figura svanì nel nulla come per incanto. Di quella corsa forsennata restò come ricordo l’impronta di uno zoccolo del suo cavallo, impronta che è stata custodita fino a che sopra di essa  fu costruita una fontanella d’acqua. (Marina di Manfria)
Il Gigante da quel momento non ebbe più pace, anelava di poterla conoscere e scambiare con lei intere giornate d’amore, e questo pensiero non lo fece più dormire,  tanto che la notte invece di dormire scriveva lettere e poesie, al chiar di luna sotto il dolce rumore del mare che spiaggiava sotto la sua Torre, alla sua adorata visione.
Sua sorella, la Castellana, vedendo suo fratello che si distruggeva d’amore e che ogni giorno vagava alla sua ricerca inutilmente, pensò di dare una grande festa cosi da far ritornare la bella bionda e farla incontrare con suo fratello.
E così fu.
Si fece la festa e vennero principi e nobili da tutte le parti della Sicilia, e a festa già incominciata entrò furtiva e lieve quella figura di donna  così bella e così cara ai suoi occhi da non considerare più tutti gli altri. Le sue attenzioni, i suoi pensieri erano solo per lei e non si accorgeva di quello che stava accadendo attorno a lui.
La torre con la sua tenuta era conosciuta e desiderata da tutti i nobili e per averla non si sarebbero fermati davanti a nulla, ma la presenza del Manfrino, metteva paura a chicchessia e nessuno si azzardava ad infastidirlo per paura di essere sconfitto.
Ma quella era la sera buona, involontariamente tutta la nobiltà che bramava quel possedimento era riunita proprio nella torre del Manfrino e si potevano fare alleanze contro di lui.
La bella biondina, l’amore sublime e infinito, come la descriveva il Manfrino nelle sue poesie, uscì dalla Torre per una passeggiata vicino alla riva del mare e ammirare la luna cha pallida nel cielo rischiarava la costa.
Il Manfrino, durante la festa si ricordò del vaticino di una vecchiarella, la quale gli aveva predetto che nel giorno più bello della sua vita egli sarebbe morto assieme alla sorella e che tutto quanto era in suo possesso sarebbe svanito nel nulla, la terra si sarebbe inaridita e l’acqua non sarebbe stata più così abbondante e pura come prima.
Iil Manfrino non diede ascolto a quel ricordo ma era intenzionato a ricercare la donna a cui voleva svelare il suo amore e poterla fare sua consorte. Uscì quasi di corsa per incontrarla, ma il destino quella sera era contro di lui, infatti non si sa perché la bella fanciulla smise di passeggiare e si inoltrò nel mare aperto e non si fermò più finchè l’acqua non la sommerse del tutto.
Il Manfrino cercò di buttarsi in mare per raggiungerla e salvarla ma una voce, anzi, un lamento di aiuto che aleggiava nell’aria, invece di spronarlo lo inchiodava sulla spiaggia causandogli dolori indicibili che gli paralizzavano i muscoli  e la mente.
Nel frattempo alcuni principi invitati alla festa fecero complotto contro di lui e sprangata la porta di accesso alla Torre uccisero tutti gli invitati e per ultimo, per maggior crudeltà, uccisero la Castellana, poi uscirono fuori, si recarono alla spiaggia e vedendo il Manfrino fermo come paralizzato si presero di coraggio e tutti insieme lo uccisero.
Uccisero il Manfrino, il Gigante buono, ma non poterono uccidere il suo ricordo e quelle grida d’aiuto che ancora oggi nelle notti serene nella quiete silente del sito ad orecchie attente non possono sfuggire.

Fonte: Salvatore Ventura

 
Scorcio di mare visto dalla torre