La colazione dei ragazzi di allora
Nel mese di ottobre i ragazzi che andavano a scuola, presso l’edificio scolastico di Santa Maria di Gesù, compravano come companatico i “mbriacotti”, un piattino di corbezzoli che un tipico omino vendeva.
Erano i corbezzoli chiamati così perché, dal loro succo, si produceva un liquido che poteva fare “ubriacare”.
Questa pianta, che fa parte della macchia mediterranea, cresceva spontaneamente nei terreni a nord della pianura di Gela e i frutti, come le fragole selvatiche, allora erano molto apprezzati.
In inverno i ragazzi al mattino andavano in giro con delle ciotole, in cui c’era del pane sminuzzato per andare a comprare a “ricuttedda” o “a roba cotta”.
Presso alcuni vani terrani, ove abitavano i pastori, al mattino era come una processione di ragazzi che, con pochi soldi, facevano la loro colazione.
Il pastore dopo aver munto le pecore e le capre, metteva in un recipiente il latte, lo colava e lo versava nella “quarara”, che metteva sul fuoco, aggiungendo anche il “caglio”, e sciogliendolo con un arnese fatto dal falegname.
Veniva fatta così “a tuma” che si metteva nella “vascedda”, e che dava (e dà) origine al formaggio.
Rimaneva “a lacciata”, un misto cioè di latte e siero, che veniva messo di nuova nella “quarara” posta sul fuoco insieme a dell’altro latte e girando detto liquido con una canna o con “a curina” faceva “salire” la ricotta, una parte della quale si metteva nelle “cavagne” o nelle vaschette (vascedda) e una parte insieme con il siero veniva posta sui pezzetti di pane nelle ciotole dei ragazzi che così facevano una calda colazione.
Altri ragazzi, invece, preferivano andare da qualche macellaio che cuoceva in un ampio recipiente (quarara) le frattaglie degli animali uccisi il giorno precedente, in modo particolare la “trippa”; un po’ di quel brodo con pezzetti di interiora posti nelle ciotole rappresentavano una squisita colazione: “a roba cotta”.
Fonte: Rosa Maganuco