La raccolta delle mandorle e delle carrube
La raccolta delle mandorle e delle carrube iniziava ad agosto, nelle colline attorno alla pianura, ove donne, ragazzi ed uomini avvezzi alla fatica, bacchiavano tali frutti e, per quando riguarda le mandorle, le “spicchiavanu”, cioè levavano la prima buccia.
Con carri tirati dai muli e da cavalli o da asinelli, i lavoratori si recavano spesso nelle fattorie attigue ai mandorleti e carrubeti, prima del sorgere del sole, onde trovarsi lì allo spuntare del sole.
In genere il lavoro iniziava il lunedì e si protraeva per settimane; i lavoratori allora “si scuravanu” in campagna cioè dormivano lì e si portavano il pane con qualche sarda salata, cipolla o pomidoro, per tre giorni; la sera del terzo giorno, qualcuno di loro tornava in paese per il cambio degli indumenti e per portare qualche altra forma di pane che servisse fino al sabato.
Il sabato sera parecchi uomini ritornavano al paese, mentre ragazzi e donne si fermavano “ppì cogghiri e spicchiari”.
La lunga giornata di lavoro aveva due pause: “ppa mangiata di matina” e per quella di “vicenda”, cioè quella del pomeriggio, fatte in modo frugale con ciò che i lavoratori si erano portati da casa.
Nel tardo pomeriggio, A “lucaria” ( o qualche uomo che sapeva fare il cuoco), cuoceva “i favi pizzicati” oppure con la “pasta ‘i casa”, faceva una specie di minestrone con la zucchina, cotto da “quarara”; così al termine del lavoro, cioè al tramonto, ciascun lavoratore (e lavoratrice) con la tipica “gavetta” ricordo di guerra, andava a prendere il suo rancio, che innaffiava con abbondante vino.
Talvolta si cocevano anche i “vavaluci”, cioè le lumache che, in qualche pausa del lavoro, i contadini avevano raccolto e servivano soprattutto per passare la serata e bere un bicchiere in più, dato volentieri dal padrone
Altre volte, sempre per passare la serata, dal momento che non c’era luce elettrica, al chiarore della luna, quando c’era o a quello delle stelle, gli uomini cantavano stornelli siciliani o, addirittura, anche se Natale era lontano “a ninnaredda”.
Gli uomini dormivano sotto gli alberi di carrube e le donne sopra “le tucchene” nella stalla, i ragazzi, certe volte, sotto i carri per evitare l’umidità della notte.
Il problema dell’approvvigionamento idrico era risolto dai contadini con dei muli che “a varda” che “cufinedda” con delle quartare o barili andavano presso le sorgenti d’acqua, come “a cubila”.
Le bucce delle mandorle venivano bruciate e la cenere serviva come detergente per lavare i piatti e la biancheria.
Non era uso A Gela fare a “ntrita” cioè levare completamente alle mandorle entrambe le bucce
Fonte: Rosa Maganuco