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Usi e costumi

 
La vendemmia
 

A vignigna

Nel mese di Settembre, sempre dopo la festa della patrona, Maria SS. D’Alemanna, aveva, inizio la vendemmia, perché a Gela cerano tanti vigneti, ciò che dava lavoro a tanti contadini; perché la vigna ha bisogno di molto lavoro.
Si dice ancora oggi. “La vigna è tigna, c’un la lavura, nun la vignigna” e “cu voli aviri bonu mustu, zappa la vigna finu ad austu”, oppure, “Lassa l’ummira ‘ndo cannitu e travagghia ‘ndo vignitu”.
Prima i lavori erano fatti a mano ed anche la raccolta a cui partecipavano molti contadini era fatta a mano, con il buon tempo: “Cogghi appena matura la racina, cco bonu tempu e asciutta d’acquazzina”.
I bellissimi grappoli di “inzolia” di “calabrese”, di “muscatedda”, riempivano i “cufuni” e i “tagghiaturi”, cioè i cesti fatti di canne con cui essi venivano trasportati e posti nelle “tine”, nei carretti, tirati da muli o cavalli o anche dai pazienti somari.
Era uso “a manciata a matina”, “u masticuni”, mangiare del pane con sarde salate ed innaffiare quel pasto col vino, che insieme al companatico veniva portato dal padrone del campo.
Durante il lavoro, canti siciliani si levavano dai giovani contadini ad inneggiare spesso all’amore e alla donna.
Dietro i contadini, spesso, c’erano dei ragazzi, magari figli degli stessi, che “raciuppiavunu” cioè raccoglievano ciò che i padri avevano inavvertitamente lasciato, cioè alcuni piccoli grappoli, con cui le donne a casa avrebbero fatto “u vinu cottu” e a “mustarda”.
Infatti, in quei giorni, si sentiva per le strade l’odore del vino cotto con delle aromatiche bucce di arancia, e si potevano vedere le botti di legno rotolare per essere lavate in attesa del vino nuovo.
L’uva raccolta, era trasportata o “palamentu”, ove spesso veniva pigiata, come ai tempi degli antichi greci, cioè a piedi scalzi dai “pistaturi” e poi messa “’ndo fossu” per fare il mosto, ove veniva lasciato per 12 o 24 ore a fermentare, a seconda se si voleva un vino più o meno forte.
Il mosto veniva misurato con la “lancedda” un utensile d’alluminio che conteneva 8, 5 litri di mosto e con delle otri (“l’utra di lona”), veniva trasportato dal “palamentu” a casa dei produttori e messo nelle botti già preparate e pulite, nella cosiddetta “dispensa”, da dove veniva spillato per la prima volta il giorno di “San Martino”, quando come dice il proverbio, “ppì San Martinu ogni mustu diventa vinu”.

Fonte: Rosa Maganuco