Suppellettili antiche
Diverso era l’arredamento delle case antiche e quindi delle suppellettili.
Quando una donna si sposava assieme con i mobili, la biancheria e il vestiario, portava delle suppellettili, che le sarebbero servite per i normali usi domestici del tempo, ma anche come arredo.
Le madri, già prima che le figlie si fidanzassero, avevano cominciato a comperare i “piatti di Malta”, cioè dei piatti, in genere qualche dozzina piani e fondi (oltre ai piattini) di ceramica inglese a fiori o con delle bellissime scene arcadiche (di innamorati presso un fiume o nei campi) in genere di colore marrone o azzurro.
Detti piatti erano accompagnati da altri “di portata”, chiamati in gergo “spillonghe”, che, però, venivano usati soprattutto nei ceti umili come piatti fondi per i contadini che, al ritorno dal lavoro, erano costretti a mangiare la sola pasta con un po’ di sugo; pertanto, detto cibo doveva essere abbondante e il piatto che lo conteneva in proporzione.
Si usava pure “a suppera” cioè la zuppiera che, nei ceti umili, sostituiva tutti i piatti perché tutti insieme mangiavano in quella sopra la “tavola quatra”.
I bicchieri erano pochi, e talvolta solo per sfoggio, erano pure maltesi; soprattutto, si usava “a cannata” che era di metallo, in genere di rame o alluminio e di creta, o “u bucali”, una brocca di vetro.
Neanche le posate erano abbondanti ed, in genere, erano di metallo scadente; il coltello era talvolta quello che i contadini si portavano per tagliare il pane in campagna.
Questo non valeva per i nobili, che usavano, addirittura, le posate d’argento.
Si usavano le scodelle di metallo per le minestre, e talvolta anche il mestolo era di legno.
Per fare la pasta a casa era indispensabile “u lasagnaturi”, cioè il matterello e ”u scnnaturi” era la madia dove si impastava il pane o la pasta. (“scannaturi” perché lì veniva raccolto anche il sangue degli animali come l’agnello e il maiale che, nelle festività venivano sacrificati).
Per quest’ultima si adoperava anche “u conzu”.
Si adoperava la legna per cucinare, le “pignate” erano di rame, in genere “a pignata” per eccellenza era quella grande per la pasta. Ancora oggi si dice. “ssittari a pignata”, cioè metterla sul fuoco. Poi c’era “u taianu”, cioè il tegame per fare la salsa.
Per bollire i pomidoro c’era “a quarara”, sempre di rame, che ogni anno si faceva stagnare, questa veniva posta sopra “u tripporu”, un tripode di ferro.
Immancabile era la padella, che serviva quasi sempre per friggere il pesce, anch’essa di rame, mentre lo scolapasta era di ghisa o alluminio.
Dotale era pure “a pila cco peri di pila”, cioè l’antica lavatrice a mano, che poteva essere a “un pilaturi o a dui” a seconda della grandezza della stessa.
“U cannatuni cca vaggila” cioè la brocca con la bacinella di smalto o di terraglia facevano parte, pure, della dote, insieme con una specie di alto tripode, ove questi venivano posti. Come ornamento del comò erano tre pezzi, specie di portafiori a colori, due alti e uno basso, e l’immancabile servizio di caffè che, magari, non sarebbe stato mai usato, ma che in genere era il regalo di nozze più frequentemente fatto.
Dotali, quando non c’era la luce elettrica erano i lumi a petrolio, più o meno artistici e costosi, da usare per tutti i giorni, o nei salotti che facevano più o meno luce, a seconda se erano di mezza fiamma a o “spaccafiamma”
Fonte: Rosa Maganuco